L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Confesso: Tremonti non mi sta molto simpatico. La sua erre moscia mi dà sui nervi e la sua aria da professorino sempre pronto a impartire lezioni di economia mi fa venire l'orticaria. Ammetto anche che il mio giudizio è viziato da vecchie ruggini. Una volta mi fece una sfuriata perché avevo pubblicato sul Giornale i risultati di un sondaggio sulla popolarità dei dirigenti del centrodestra: siccome il suo nome figurava verso il basso della classifica, Giulio m'accusò ingiustamente di averli manipolati a suo danno. Un'altra mi capitò di intervistarlo in pubblico, a una festa del PdL: per raggiungerlo avevo fatto quattro ore di macchina, ma una volta arrivato mi confidò di non avere alcuna voglia di rispondere alle mie domande e finì in un duello rusticano, seppur verbale. Aggiungo che per me il ministro dell'Economia è affetto da un complesso di superiorità che spesso lo porta a scontrarsi con gli altri e qualche volta a umiliarli, come fece con Gianfranco Fini: operazione che gli costò il posto nel secondo governo Berlusconi. Chiarito che mi sta sui cosiddetti, devo riconoscere che Giulietto è un genio senza pari. Pochi sono riusciti a resistere così a lungo su una poltrona che scotta come quella da lui occupata. Anzi, a dire il vero lui è il solo ad avercela fatta per un tempo record di sette anni. Per fortuna nostra: fossero rimasti altri, oggi saremmo in bancarotta come la Grecia o l'Argentina. Come dimostra l'inchiesta di Franco Bechis cui è dedicato il titolo d'apertura di Libero, a dispetto della fama, spesso chi lo ha preceduto ha solo allargato la voragine dei conti pubblici. Così fece Carlo Azeglio Ciampi, il quale pur passando per salvatore della patria è il premier che più ci ha indebitato, superando in questa particolare specialità atletica perfino un esperto di governi balneari della prima Repubblica come Amintore Fanfani. A differenza della banda del buco, Tremonti ha tenuto stretti i cordoni della borsa anche quando c'era da allargarli, rispondendo con un no secco a ogni richiesta clientelare e anche alle pressioni elettorali. Si deve a lui se, al contrario di quel che pronosticavano certi corvi nostrani, l'Italia non è stata travolta dalla bufera finanziaria e si è salvata senza imporre troppe stangate. Certo, questo lo ha portato ad essere antipatico a molti, fuori e dentro la maggioranza. Chi sta all'opposizione lo contesta perché da troppo tempo è a bocca asciutta di fondi pubblici. Chi sta al governo pure, perché non solo non ha messo le mani sul malloppo, ma si sente anche fesso in quanto pur essendo nella stanza dei bottoni non è riuscito finora ad acchiappare un euro. Insomma, credo che se si facesse un'indagine riservata, cioè con garanzia di anonimato, in Parlamento Tremonti risulterebbe il più votato tra i politici detestati. Di sicuro lo voterebbe Berlusconi, il quale pur apprezzandone il talento non lo ama. Giulietto è troppo spigoloso per andare d'accordo col Cavaliere: uno che per farsi ascoltare una settimana sì e l'altra anche mette sul tavolo le sue dimissioni non può godere di molto affetto da parte del premier. E poi, diciamoci la verità, il Cav. deve riconoscenza all'uomo che occupa la scrivania di Quintino Sella perché gli ha riportato Bossi, ma allo stesso tempo il legame tra Tremonti e la Lega lo preoccupa. In privato, Silvio lo considera il quarto ministro del Carroccio, dopo Umberto, Maroni e Calderoli. Inoltre, le ambizioni di Tremonti di subentrargli a Palazzo Chigi non gli fanno molto piacere, anzi lo inducono a diffidarne. Per queste ed altre ragioni i resoconti di fine anno descrivono il rapporto fra ministro dell'Economia e presidente del Consiglio come molto tesi. I due si sarebbero fatti gli auguri di Natale mandandosi a quel paese e quelli di inizio anno non sarebbero stati molto diversi. Naturalmente, vista la premessa fatta all'inizio dell'articolo, comprendo le ragioni per cui Giulio, oltre a me e a molti altri, stia sullo stomaco anche a Berlusconi. Però, mi spiace per il Cav., ma stavolta gli toccherà prendere un Alka-Selzter per digerirlo. Già il governo è più precario di un giovane alle prime armi, ci manca solo che smarrisca un pezzo come Tremonti. Il ministro dell'Economia non è Fini, che se lo si perde si fa un affare: quello se molla succede un patatrac. Dunque, caro Silvio, manda giù, che prima o poi Giulietto ci tirerà su. Magari non subito, ma appena i cordoni della borsa lo consentiranno.