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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Dopo aver letto il titolo di Libero con cui ieri lo invitavamo ad aprire gli occhiper evitare una guerra civile fra poteri dello Stato, nonno Giorgio alla fine si è svegliato e ricordandosi di essere l'arbitro della Repubblica e non un passante qualsiasi che si gode lo spettacolo, ha deciso di dire la sua. Il risveglio non è stato però dei migliori e soprattutto dei più lucidi, perché invece di riportare la calma fra i duellanti, ovvero tra governo e pubblici ministeri, rimettendo ognuno al proprio posto, il presidente si è schierato con il più forte, o per lo meno con quello che reputa essere vincente, cioè la magistratura. Il fatto in sé non ci stupisce. Che Napolitano non sia un cuor di leone si sa fin dai tempi in cui non ebbe il coraggio di opporsi dentro il Pci all'invasione d'Ungheria. La repressione della rivolta da parte dei sovietici fece venire il voltastomaco a molti compagni, i quali preferirono stracciate la tessera del partito comunista. A molti, ma non a lui, che invece applaudì i carri armati, salvo poi piangere lacrime di coccodrillo molti anni dopo, quando un puro caso gli regalò al posto della pensione la presidenza della Repubblica. Un'altra buona occasione per dimostrare di avere fegato il capo dello Stato la ebbe anche negli anni Novanta, quando le prime indagini dei magistrati misero nel mirino molti degli uomini della sua corrente dentro il Pci. Ma anche allora Napolitano, invece di difendere la politica dall'aggressione che mirava a far fuori i partiti moderati insieme alla destra comunista, preferì tacere, voltando lo sguardo altrove, senza prendere le difese dei suoi, alcuni dei quali finirono addirittura ingabbiati. Per quanto noi lo sperassimo, era dunque difficile aspettarsi che in queste ore, mentre infuria uno scontro che punta a eliminare il leader del centrodestra per via giudiziaria, sostituendolo con qualche malleabile esponente della nomenklatura, Napolitano prendesse le difese del governo contro le toghe. L'idea che potesse inviare un messaggio alle Camere, sollecitando uno scatto d'orgoglio e di unità tra le forze politiche e suggerendo una rapida reintroduzione dell'articolo 68, a tutela del mandato di ciascun onorevole, è svanita in poche ore. L'inquilino del Colle invece di difendere l'autonomia del Parlamento ha preferito uniformarsi alle indicazioni di Eugenio Scalfari, il capo partito di un gruppo editoriale che da almeno trent'anni condiziona la vita politica del Paese. Domenica il fondatore di Repubblica aveva infatti suggerito al capo dello Stato lo scioglimento delle Camere in caso Berlusconi non si fosse arreso all'aggressione dei pm ma avesse contrattaccato. E Napolitano si è prontamente adeguato. Il suo messaggio è il preannuncio di un colpo di mano di una classe politica vecchia e arrogante che nella vita le ha sbagliate tutte, ma ancora non si è rassegnata a cedere il potere. Napolitano aveva la possibilità di pacificare il Paese, raffreddando il clima infuocato che si respira. Purtroppo, ancora una volta non ne ha avuto il coraggio, scegliendo il più forte. O almeno quello che lui ritiene tale. Il tempo si incaricherà di dimostrare se anche questa volta ha sbagliato.

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