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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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L'ultimo espediente per cercare di tappare la bocca ai giornalisti che non cantano nel coro progressista è rinfacciargli di farsi pagare. Non essendo riusciti a imbavagliarli con querele e sanzioni disciplinari, provano a screditarli accusandoli d'essere mantenuti di regime, difensori a tassametro di un premier indifendibile. Non importa che il Cavaliere abbia a libro paga tutto il fior fiore dell'intellighenzia di sinistra: i soli ad essere esecrati sono i giornalisti che non si intruppano nella campagna anti-berlusconiana avviata dalla Procura di Milano fra gli applausi dell'opposizione. Nel mirino dei cecchini dal moralismo facile è finito anche Giuliano Ferrara, reo d'aver deciso di tornare in tv con un programma su Rai1 subito dopo il tg. Fino a ieri, essendo alle prese con le sottane dei cardinali, l'ateo devoto era considerato una specie di compagno in via di redenzione, perché lasciato Silvio si era avvicinato a Fini. Ora che è ritornato sui suoi passi e attacca chi fruga tra le mutande, eccolo bollato come mercenario al soldo del tiranno di Arcore. «Tremila euro al giorno per difendere Silvio» era il titolo della Repubblica di ieri, cioè il triplo o quasi di quel che guadagnano molti italiani, i quali leggendo avranno pensato di Ferrara che fosse una specie di grassatore, che rapina la televisione pubblica approfittando di un presidente del Consiglio con l'acqua alla gola. Le cose però non stanno così. Giuliano - che in passato ha fatto molte trasmissioni di successo lasciandole per volontà sua - è stato ingaggiato dalla Rai e come tutte le persone che ricevono  un'offerta si fa pagare quanto ritiene giusto. La cifra potrà apparire alta o no, a seconda di quel che ciascuno guadagna, sta di fatto che è la più bassa fra quelle corrisposte da Viale Mazzini alle star del giornalismo care alla sinistra, come dimostra a pagina 3 Franco Bechis. Roberto Saviano per una puntata di Vieni via con me ha incassato 50mila euro e il suo compagno di merende serali, Fabio Fazio, ne ha presi 34mila. Michele Santoro ogni volta che va in video ritira alla cassa 19.500 euro, mentre Giovanni Floris, conduttore di Ballarò, si accontenta di 17mila (cinquemila euro in più di ciò che piglia Vespa). E Serena Dandini per ospitare ogni sera qualcuno che attacchi Berlusconi  intasca 7mila euro. I più maliziosi obietteranno che un conto è fare un programma che dura cinque minuti e altro è condurne uno di due  ore e mezza come fa Santoro. Certo, però Michele prende pur sempre sette volte quel che è stato concesso a Giuliano. La misura di quanto sia strumentale la questione dei soldi, scagliata fra le gambe di chiunque s'azzardi a non attaccare a testa bassa il Cavaliere, è data da quel che fino a dieci anni fa riceveva Enzo Biagi, il giornalista amato dalla sinistra dal giorno in cui Berlusconi gli levò lo spazio che ora andrà ad occupare Ferrara. Per ogni puntata il conduttore del Fatto era remunerato con 5mila euro, che attualizzati all'inflazione fanno 6 mila e cinquecento.  Tanti? Forse sì, forse no. Sta di fatto che nel 2001 nessuno gridò alla scandalo, anzi Biagi era trattato in Rai alla stregua di una reliquia intoccabile. Forse perché nel suo programma riusciva sempre a infilare un attacco a Berlusconi, come capitò negli ultimi giorni di campagna elettorale, quando in spregio alla par condicio voluta da Scalfaro per tagliare le gambe al Cavaliere, consentì a Benigni di sparare a zero su Silvio. Ma sei mila e cinquecento euro, più una redazione e un capostruttura che si occupava di tutto (mentre Ferrara non avrà né redazione né badante), cosa volete che siano se servono a favorire la sinistra. I giornalisti in tal caso non sono servi, ma idealisti. A tassametro anche loro, ma in nome di una nobile causa. E poi si domandano perché alla gente vien voglia di non pagare il canone.

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