L'editoriale
di Vittorio Feltri
L'ottimo Pierluigi Battista, ex vicedirettore e ora editorialista del Corriere della Sera, scrive che Libero in questi giorni di euforia bellica è slittato verso posizioni antifrancesi e vede in Nicolas Sarkozy un pericoloso guerrafondaio. È vero. A noi le azioni e gli atteggiamenti del novello Napoleone non piacciono. Non abbiamo tuttavia pregiudizi sulla persona, semplicemente pensiamo che lui abbia qualcosa da nascondere e siamo impegnati a scoprire di che si tratti. E Battista si deve rassegnare all'idea che esistano giornalisti apoti, cioè non disposti a bere qualsiasi “verità” di comodo, costruita a tavolino, per giustificare varie nefandezze, tra le quali la guerra. Il nostro Franco Bechis, per esempio, a forza di investigare ha messo le mani su documenti (pubblicati oggi su queste pagine) da cui risulta che l'epica rivolta in Cirenaica non è figlia dell'ansia di libertà di un popolo oppresso, ma è stata organizzata e alimentata dalla Francia. A quale scopo? Questo lo lasciamo indovinare a Battista così si abitua pure lui a indagare. L'editorialista menzionato non è l'unico collega a tirarci le orecchie e a sfotterci. Il suo vicino di banco, Paolo Conti, verga un pezzo dal titolo eloquente: «Il Partito dei filo Bush che ha cambiato idea». Vi si legge che Maria Giovanna Maglie, Marcello Veneziani ed io eravamo a favore della guerra in Iraq, mentre adesso siamo contrari a quella in Libia. Significa che nel valutare un conflitto usiamo due pesi e due misure? Il senso dell'articolo è questo, una specie di rimprovero. Che non accettiamo. L'attacco a Saddam Hussein era una risposta alla sfida lanciata dal terrorismo al mondo occidentale, alla sua civiltà, con l'abbattimento delle Torri gemelle, migliaia di vittime. Bush davanti alla strage poteva rimanere inerte? Non credo. Avrà reagito male, ma è indubbio che dovesse reagire. E lo ha fatto dichiarando guerra all'Afghanistan dopo aver detto a quel Paese: o ci consegnate Bin Laden oppure cominciamo le ostilità. Quanto a Saddam Hussein, si ricorderà la controversa questione delle armi di distruzione di massa, che poi si rivelò un pretesto. L'Iraq era comunque sospettato di proteggere e foraggiare il partito della morte; e il presidente Usa si illudeva di esportarvi la democrazia. Certamente, col senno di poi anche quella guerra era da evitare. Ma all'epoca il dilemma era: stare con l'Occidente minacciato dagli estremisti di Allah o stare con Saddam e i suoi accoliti che flirtavano con i tagliatori di teste? Personalmente scelsi la prima opzione. E non sono sicuro sia stato un errore, anzi. La Libia è tutt'altra faccenda. Anche qui si tratta di decidere da che parte stare: con Gheddafi o con i suoi oppositori della Cirenaica? Fra i due mali, preferisco il minore, cioè Gheddafi. Un tiranno, che però abbiamo imparato a gestire. I suoi oppositori, i rivoltosi, viceversa sono un mistero, e c'è la probabilità siano peggiori del dittatore che intendono spodestare. Chi è il loro capo, un sincero democratico o un collo di forca? Un moderato o un Fratello musulmano dell'ala omicida? Secondo Magdi Allam, che ha dimestichezza con quella gente, non bisogna fidarsi degli insorti: il rischio è che loro siano la brace e Gheddafi sia la padella da cui è sconsigliato cadere. Occorre inoltre considerare che le guerre non si sono mai combattute per superiori ragioni morali, bensì per convenienza. La Francia non era d'accordo con l'intervento americano in Iraq perché faceva affari con Saddam, non perché ne apprezzasse le virtù di statista. E se ora, invece, si è buttata a capofitto contro Gheddafi non è perché lo giudichi un uomo abbietto, ma perché spera di concludere buoni affari con chi mira a sostituirlo. Se non fosse così, se cioè Sarkozy fosse animato da spirito umanitario, egli avrebbe mobilitato i suoi eserciti anche per andare in soccorso al Sudan, al Bahrein, allo Yemen e a tutti i numerosi Paesi soggiogati da regimi violenti. E veniamo alla Casa Bianca. Nessuno coglie la contraddizione di Obama? Pure lui è partito lancia in resta per punire il tiranno di Tripoli, e si è dimenticato di aver ricevuto, ancor prima di cominciare a governare, addirittura il premio Nobel per la pace. Normale anche questo? Parecchi altri commentatori più o meno autorevoli ci hanno gratificato della loro attenzione. Quasi tutti, accusandoci di aver voltato la gabbana bellica, si ergono a campioni di etica e ci ricordano che qui sono in ballo - priorità assoluta - la dignità e i diritti umani di un popolo meritevole di aiuto. Ne siamo sicuri? Sento puzzo di ipocrisia. Perfino la denominazione della campagna intrapresa suona falsa: Odissea all'alba. Sembra il titolo di una poesia della Merini, ma è una guerra. Chiamatela almeno col suo nome, sepolcri imbiancati.