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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Brutta bestia la sindrome di fine mandato. Colpisce indistintamente tutti coloro i quali, per legge o statuto, sono costretti  a rinunciare alla poltrona e a ritornare al mestiere precedente.  Sindaci, governatori e presidenti, temendo di essere inghiottiti dall'anonimato,  nell'ora in cui le luci della ribalta minacciano di spegnersi non si rassegnano al passo indietro e usano ogni espediente al solo fine di tenere accesi i riflettori su se stessi.  I segni premonitori di un triste fenomeno, che è più diffuso di quanto si pensi, si evidenziano negli ultimi mesi dell'incarico, quando i giornalisti ancora si affollano attorno al leader uscente ma già mostrano i primi segni di disinteresse. È in quel momento che i candidati a diventare ex iniziano a esternare, alzando i toni allo scopo di richiamare l'attenzione. A questa malattia, tipica dell'uomo politico con incarichi istituzionali, non sfuggono neppure i numeri uno delle grandi organizzazioni sindacali, sia dei lavoratori che degli imprenditori.  Successe a Luca Cordero di Montezemolo, che pure aveva una collezione di presidenze, essendo a capo oltre che di Confindustria anche di Fiat e Ferrari. Il giorno in cui dovette liberare la poltrona  di rappresentante degli industriali, si congedò con un discorso che pareva un insediamento.  Non al vertice di Viale dell'Astronomia, dove c'è il quartier generale dell'associazione delle imprese, ma a quello di Palazzo Chigi. Fu da lì che si cominciò a parlare di lui in politica, quale futuro leader del partito Ferrari, l'unico rosso in grado di  mettere d'accordo destra e sinistra. La sindrome, che ancora spinge Montezemolo a distanza di anni a interventi che gli facciano guadagnare la prima pagina, non poteva lasciare immune la sua successora. La quale, essendo prossima a dire addio all'incarico, più ancora del suo predecessore si sente in dovere di farsi notare.  Tra i due per altro c'è una dichiarata inimicizia e quindi se parla uno, l'altra non tace. Risultato, manco fosse il presidente del Consiglio, domenica Marcegaglia ha lanciato via web un appello agli imprenditori affinché facciano sentire la propria voce.  «Mai come ora siamo stati lasciati così soli».  Il sospetto che il discorso avesse spunti autobiografici e che la prima a sentirsi trascurata nell'ora in cui il mandato volge al termine fosse proprio la presidentessa è ovviamente forte. Privata della funzione, dovrebbe tornare a occuparsi delle fabbriche siderurgiche di papà e degli investimenti immobiliari. Roba redditizia e solida, ma di cui i giornali si occuperebbero al massimo nella sezione economia, non certo in prima pagina. Il punto non è però questo: se Emma va in cerca di visibilità in fondo sono affari suoi o al massimo di chi l'ha designata. Il tema semmai è quello dell'intervento dello Stato, argomento al centro del discorso sulla solitudine degli imprenditori. A Pomigliano Marchionne è stato lasciato solo e ha dovuto sbrigarsela senza aiuti pubblici? Fortuna che è andata così. Ci avesse messo le mani qualche ministro, come succedeva ai tempi della prima Repubblica, invece di un accordo avrebbero raggiunto il solito papocchio.  La flessibilità sarebbe stata scarsa e quel poco lo avrebbe pagato il governo con i soldi dei contribuenti. Invece lavoratori e impresa sono stati costretti a risolvere i problemi senza il terzo incomodo, che nel nostro caso sarebbe stato comodo. Non so a che Paese si ispiri la presidente di Confindustria, ma in uno che ha il terzo debito pubblico del mondo credo non si possa fare altrimenti. Del resto se la politica non ci mette lo zampino, è bene. Lo certifica proprio l'associazione degli imprenditori, la quale da una parte si lamenta per le scarse attenzioni e dall'altra dice che ora le cose vanno meglio rispetto a un anno fa. Proprio ieri l'ufficio studi di Viale dell'Astronomia ha diffuso le stime sull'aumento della produzione nel mese di marzo, da cui si evince una crescita dell' 1,5  rispetto al mese precedente, che pure era salito dell'1,4 in confronto a febbraio. Siamo lontani dai tassi di crescita della Cina o del Brasile e pure sotto rispetto ai livelli italiani di prima della crisi, ma si tratta di un segnale migliore rispetto alla calma piatta che ha segnato i due anni passati. E poi, diciamoci la verità, cosa dovrebbe fare di concreto il governo? Aprire i cordoni della borsa per distribuire un po' di aiuti a pioggia? L'Europa li vieta e se pure non fossero proibiti sarebbe consigliato non utilizzarli per non rischiare di mandare il Paese in bancarotta. Già, tramite la Cassa depositi e prestiti, sta dando fondo ai soldi dei pensionati depositati alle Poste, usandoli per le opere pubbliche, le esportazioni e le facilitazioni al credito:  mica può rinunciare a pagare i vecchietti. Forse potrebbe tagliare gli sprechi o, come in America, dare una limatina al welfare.  Ma siamo sicuri che poi Confindustria sarebbe felice? Chi lo dice ai grandi imprenditori che alcuni incentivi e sgravi non ci sarebbero più e che i prepensionamenti a carico dello Stato non si potrebbero più fare? Cara Marcegaglia, lei avrebbe ragione se parlasse del fisco e se facesse una battaglia contro la ritenuta alla fonte o il prelievo forzoso che i sindacati applicano sulle buste paga dei lavoratori. Ma se si sente sola perché non ha l'aiutino, lasci perdere.  L'imprenditore è solo per definizione, perché ci  mette del suo. Se deve avere alle spalle lo Stato, non è più un imprenditore ma qualcos'altro.  Salutandola, mi raccomando le luci: le spenga, che consumano.

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