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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Ieri ho appreso con sollievo che il 30 settembre dello scorso anno nessuno voleva attentare alla mia vita. I pm di Milano che hanno indagato sulla vicenda sono infatti giunti alla conclusione che quella sera sul ballatoio della casa in cui abito c'era uno sconosciuto armato di pistola, ma non aveva intenzione di spararmi. Al massimo di derubarmi oppure di derubare qualche altro condomino. A questo convincimento i magistrati sono giunti dopo aver indagato per mesi e sentito i testimoni. Ma soprattutto in forza di un ragionamento che - a quanto riferiscono le agenzie - si basa su tre punti. Innanzitutto l'assenza di complici. Un attentatore che si rispetti non va mai solo, ma almeno in coppia come i carabinieri. Diversamente è uno sfigato al pari di quel terrorista di sinistra che volendo ammazzare il missino Franco Servello sul pianerottolo, si presentò senza accompagnatori e finì per spararsi in un piede. Il secondo punto ad aver indotto i pm a escludere l'attentato è la questione dell'arma, che, come è noto, si inceppò. Attentatori che si rispettino non hanno mai il revolver che fa cilecca. Se ce l'hanno sono declassati al rango di delinquenti semplici, cioè ladri. I quali - sia detto per inciso - in genere evitano di aspettare le loro vittime sulla porta con la pistola in pugno, per risparmiarsi - se beccati - l'aggravante di rapina a mano armata, così come i delinquenti semplici non premono il grilletto per scongiurare l'imputazione di tentato omicidio. Ma naturalmente c'è sempre l'eccezione che conferma la regola e il 30 settembre si doveva trattare di un ladro eccezionale. Terzo punto. Non c'è ragione di credere che io fossi nel mirino dei terroristi. E questo è un dato di fatto che io stesso mi sento di confermare, giacchè nessuno mi ha mai citofonato avvisandomi d'aver intenzione di spararmi. Qualche proiettile, minacce di morte nella cassetta della posta e perfino un tizio fermato poco prima che mi aggredisse allo scopo di farmi sanguinare. Ma mai nessuno che mi abbia avvertito prima dicendomi: ho intenzione di farti un attentato, come è buona regola nel galateo fra terroristi e vittime. Insomma, tutto bene. Non c'era un brigatista in agguato quella sera, ma tutt'al più un rubagalline. La notizia come dicevo mi ha procurato sollievo. Innanzitutto perché fa bene sapere che il malintenzionato con la pistola non voleva uccidere o ferire ma solo rubare: ora rientrerò più rinfrancato a casa. E poi perché, riconoscendo che non c'è motivo di dubitare della ricostruzione dell'agente di scorta che intervenne quella sera, la Procura lo proscioglie da una calunnia che lo aveva colpito fin dal primo giorno. Per essersi occupato della mia tutela, i giornali - di sinistra e non - lo avevano accusato di mitomania. Comunque, tutto è bene quel che finisce bene. Ora che la faccenda è sistemata in archivio sono più tranquillo. Mi resta solo una preoccupazione: ma i processi li fanno tutti così?

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