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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Tie'. Berlusconi per la seconda volta in pochi mesi ha fatto il gesto dell'ombrello a chi pensava di averlo messo nel sacco. Come il 14 dicembre, quando la sinistra e finiani si accordarono per farlo cadere nella trappola della fiducia, al premier è riuscito di salvare la pelle, facendo approvare il processo  breve che gli allunga la vita. Politica, ovviamente: di quella mortale si occupa don Verzé.  Dunque, anche l'ultima arma con cui l'opposizione sperava di far fuori il Cavaliere ora si rivela scarica. Già, perché con la nuova legge (che ora aspetta solo lo scontato imprimatur del Senato) il caso Mills, ovvero la più imminente delle minacce giudiziarie che incombono sul presidente del Consiglio, è definitivamente morto e sepolto, quindi il suo decesso non potrà che essere ufficializzato a breve. Intendiamoci, non è che il procedimento in corso presso il Tribunale di Milano fosse vivo. Come è noto la prescrizione era certa anche senza l'entrata in vigore delle nuove norme, in quanto non essendosi ancora concluso il primo grado di giudizio, la sentenza definitiva non sarebbe mai potuta giungere entro lo scadere del termine fissato ai primi mesi dell'anno prossimo. Ma la sinistra e i suoi referenti fra le toghe non miravano a ottenere un verdetto con il timbro della Cassazione. A loro bastava una condanna da poter esibire come feticcio. Immaginate l'effetto sull'opinione pubblica, nazionale e non,  di un dispositivo che riconoscesse il capo di governo colpevole di aver corrotto un testimone? L'impatto non sarebbe stato ininfluente, per lo meno durante un'eventuale campagna elettorale. Qualcuno forse obietterà che non sta bene farsi una legge per sfuggire ai giudici. Ma quando questi dimostrano un particolare voglia di prendersela con te, ci si difende come può e dunque anche con una norma ad personam. Si tratta di una reazione legittima di fronte a indagini ad personam.  Non ci fosse stato di mezzo Berlusconi, il processo in corso a Milano infatti non sarebbe neppure cominciato. Innanzitutto perché il reato sarebbe caduto in prescrizione, in quanto, ammesso e non concesso che sia stato consumato,  risale a parecchi anni fa. Solo una bizzarra interpretazione del codice ha consentito di allungare i tempi, datandolo non il giorno in cui la corruzione sarebbe stata compiuta ma al momento in cui il corrotto avrebbe cominciato a goderne i frutti. Ma questa non è la sola assurdità. Un'altra riguarda i soldi pagati per comprare la falsa deposizione. Per quanto i pm si siano dati da fare inseguendoli per mari e per monti e investendo fior di denaro pubblico, ad oggi non c'è traccia di un euro uscito dal portafogli di Berlusconi per finire in quello dell'avvocato Mills. Ma ciò nonostante, sarei stato pronto a scommetterci,  il Cavaliere sarebbe stato condannato. Dunque, fiutata l'aria, il premier ha risolto il problema alla maniera sua e, bloccando per legge chi puntava a mettergli al collo il cartello di corruttore. Ovviamente questo non è l'epilogo della storia. Chiuso il capitolo Mills restano aperti tutti gli altri. Anzi. Quasi fosse un'Idra, per ogni processo che si chiude ne spuntano altri due. Ieri ad esempio sono sbucate un paio di nuove testimoni contro di lui da usarsi nel caso Ruby. Due ragazze che a distanza di mesi dal deflagrare della vicenda si sono improvvisamente ricordate d'essere state alle cene del premier. Ormai  Arcore pare più frequentata della metropolitana nell'ora di punta e come sulla metropolitana qualcuno avrebbe allungato le mani. Indovinate chi? Avete vinto: Berlusconi. Le giovani, entrambe maggiorenni, alla toccatina non avrebbero reagito. Una volta interpellate dai giornalisti avrebbero addirittura parlato delle cene come di riunioni conviviali, dove il sesso era bandito. Ma ora, passati mesi, avrebbero sentito il bisogno di cambiare versione e di affidarla per tramite di una senatrice dell'Idv ai pm di Milano. Giusto il tempo di liberarsi l'animo ed ecco i verbali comparire sulla prima pagina di Repubblica e su quella interna del Corriere della Sera. Insomma, tutto come sempre negli ultimi diciassette anni. Il Cavaliere tappa un buco e subito gliene aprono altri due. E anche se alla Camera ieri ha vinto, capisco che alla fine non ne possa più. È per questo che forse l'altra sera  in un incontro con la stampa estera, ha confidato di non volersi  ricandidare nel 2013, ma di voler lasciare il posto ad Angelino Alfano. Chi potrebbe dargli torto o biasimarlo? Molti al posto suo  si sarebbero già arresi. Pur comprendendolo e, come detto, riconoscendo le buone ragioni di mandare al diavolo giudici e sinistra, non possiamo però trattenerci da indirizzargli una preghiera. Se lo desidera, molli pure fra due anni, ma prima di andarsene veda di sistemare non solo il processo suo, ma anche quelli degli italiani. Faccia la riforma della giustizia come promesso e ci liberi dalle toghe. Perché lui può andarsene, noi no.

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