L'editoriale
di Vittorio Feltri
Il tiranno della Siria, Assad, ha la mano pesante. Altro che Gheddafi. Ma le sue vittime, i suoi carrarmati, le sue sparatorie e i suoi pestaggi non appassionano i volonterosi Nato, i francesi, gli inglesi né, tantomeno, gli statunitensi che sono amici - di bottega, cioè di affari - del famoso massacratore. La guerra umanitaria va bene in Libia. Invece conviene stare alla larga da Damasco. Prima il portafogli, poi i sentimenti. Gli insorti siriani crepino pure crivellati di colpi. L'importante è che il regime non si innervosisca e al capataz non venga in mente di rompere i rapporti commerciali con l'Occidente, che è di buon cuore, ma non sempre, è disposto a esportare la democrazia purché non gratis. Ecco spiegato il motivo per cui con i criminali la coalizione, nella quale anche noi facciamo la nostra parte (dei fessi), usa due pesi e due misure: aiuta i ribelli libici e se ne frega di quelli siriani. E Gheddafi com'è conciato? Si è tentato in vari modi di farlo secco. Hanno bombardato alcune sue residenze, ma lui - forse perché ha più case di Berlusconi, e ciò fa capire che non è in miseria - l'ha fatta franca. L'opinione pubblica italiana all'inizio era contraria al conflitto; adesso è indifferente. Ci si abitua a tutto, anche alle missioni militari più o meno pericolose. Alcuni anni fa, quando un gruppo di carabinieri fu sterminato a Nassirya, la commozione fu grande e sollevò in tutti un angoscioso interrogativo: vale la pena di morire per l'Iraq? L'ala più dura del pacifismo nazionale scrisse sui muri una frase insolente e crudele: una, dieci, cento Nassirya. Era la prova che peggio dei militaristi ci sono soltanto gli antimilitaristi. Trascorrono gli anni e le guerre continuano cruente nella sostanza e dolci nella forma verbale. Infatti, per renderle accettabili agli animi sensibili, sono state chiamate “interventi di pace”. Una bella trovata che serve a non turbare gli adoratori della Costituzione, nella quale si afferma che la Patria ripudia la guerra. La ripudia, ma la fa. Siamo andati in Libano e in Kosovo con la benedizione della sinistra, e combattiamo in Afghanistan dove spesso salta per aria un mezzo dell'esercito e perdono la vita nostri soldati. A forza di succedere, ciò fa su di noi lo stesso effetto di un incidente sull'autostrada. Ce la caviamo con un commento desolato: casi della vita. Ovvio. Dispiace. Ma vedere quelle bare avvolte nel tricolore, le vedove e le mamme in lacrime rientra ormai nella consuetudine. Il cinismo è come un callo: cresce e si indurisce con l'andare del tempo. In Libia, non potendo fare di meglio, abbiamo inviato dei consiglieri militari per addestrare le reclute un po' imbranate della rivoluzione. Ieri, a sorpresa, Berlusconi si è espresso a favore dei bombardamenti su Tripoli ai quali intende contribuire. Mi sembra un'idiozia. La questione si risolverà così? Rammentate il Vietnam? Gli americani cominciarono nella stessa maniera, mandando nel Sudest Asiatico alcuni esperti di fucili e mitragliatrici. Ed è noto come è finita. Dicono che la storia si ripeta. Intanto godiamoci profughi e clandestini in fuga dal Nordafrica. Nessuno li vuole e tocca a noi provvedere al loro mantenimento: trenta euro al giorno a ciascun poveraccio, vitto, alloggio. Sono trattati con più generosità dei cassintegrati. Poi, in Europa (e non solo) ci accusano di essere cattivi ospiti. Il Manifesto va oltre. Scrive che oggi i rom sono considerati tali quali gli ebrei all'epoca delle leggi razziali. Risulta una certa differenza. Gli ebrei erano destinati ai lager (e ai forni), mentre gli zingari che tolgono le tende abusive da Roma incassano mille euro, rimborso spese viaggio. A Milano il muezzin invita i fratelli musulmani (che se ne infischiano delle sorelle, quelle le menano se non rigano dritto) a pregare per strada. Siamo al minareto. Qualcuno è pronto a indagare se non si configuri un reato? Aspetta e spera. Qui ci si scandalizza per i manifesti rossi di Roberto Lassini recanti una perentoria frase: «Via le Br dalle Procure». Ma si chiude un occhio sulle scritte che compaiono su ogni muro (privato) e che non sono molto più carine della esortazione rivolta dal candidato pidiellino ai pm che lo sbatterono in prigione, benché fosse innocente. Lo diciamo senza spirito polemico: quando sarà condannato almeno uno di quei fessi allo spray che imbrattano le nostre case? Se l'azione penale è ancora obbligatoria, ci si dia da fare. O pretendiamo troppo? Nelle pause del processo cosiddetto Ruby si potrebbero ritagliare cinque minuti da riservare ai banali problemi della città?