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L'editoriale

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di Vittorio Feltri

Andrea Tempestini
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Pareva che la lite fra Berlusconi e Bossi fosse rientrata e invece è ricominciata, più forte che prima. Il premier ha ammesso di aver sbagliato a decidere di bombardare la Libia senza consultare l'alleato, ma il leader della Lega non si è ammansito e continua a minacciare sfracelli, benché giovedì abbia detto che, al di là degli attriti degli ultimi giorni, non vuole impallinare il governo. Non si comprende quali siano le sue reali intenzioni: fa la voce grossa e tiene il broncio al presidente del Consiglio per poi sedersi al tavolo della pace con la prospettiva di incassare qualcosa, oppure pensa di aver trovato il pretesto buono per rompere la “società” col Pdl e riconquistare le simpatie della propria base, notoriamente irritata a causa della linea bellicistica dell'esecutivo? Nessuno è in grado di rispondere alla domanda perché né il fondatore del Carroccio né i suoi più stretti collaboratori danno spiegazioni. Si limitano a scuotere la testa. Si dovranno quindi aspettare le loro prossime mosse in sede ufficiale. Il momento della verità potrebbe essere la discussione in Parlamento sulla mozione del Pd riguardante appunto l'inasprimento degli attacchi militari al regime di Gheddafi. Le camicie verdi hanno annunciato: saremo coerenti con la postra posizione. Significa che voteranno contro la maggioranza? La logica spingerebbe a dire che sarà così. Ma logica e coerenza in politica non sono il filo conduttore dei comportamenti. La sola cosa che ci sentiamo di dire nella presente congiuntura ai due litiganti è questa: caro Umberto e caro Silvio smettetela di fare i bambini; se avete dei contrasti, parlatevi e chiaritevi, altrimenti pagherete entrambi un prezzo salato. La gente già è stanca morta delle incessanti beghe tra berlusconiani e antiberlusconiani, se poi si azzuffano anche i due principali attori del centrodestra, addio: esaurisce la pazienza e manda tutti al diavolo, gridando “ci avete nauseati”. Non è il caso di rischiare. Anche perché, qualora ci fosse una crisi di governo, andremmo incontro a grossi guai. Per vari motivi. 1°) Un Paese in guerra non può concedersi il lusso di rimanere senza guida, farebbe una pessima figura sul piano internazionale e non sarebbe in grado di affrontare eventuali emergenze. 2°) Napolitano difficilmente scioglierebbe le Camere e promuoverebbe un esecutivo tecnico sostenuto da partiti che non sono stati scelti dal popolo allo scopo di governare. 3°) Elezioni anticipate non si potrebbero organizzare fino alla primavera del 2012 per ovvie ragioni. Perché si votano le amministrative fra due settimane, poi servirebbero due mesi per la campagna elettorale, e si arriverebbe a metà luglio. In estate gli italiani vanno in vacanza e trascinarli alle urne sarebbe un'impresa fallimentare. In agosto chiudono sia Montecitorio sia palazzo Madama per ferie. E i lavori riprendono a fine settembre. In autunno riaprono le scuole. Inoltre, in Italia non si è mai votato nelle stagioni fredde. Sicché fino a marzo saremmo costretti a vivacchiare con un governo rabberciato, proprio ciò che desidera la sinistra perché non si sente pronta per una competizione su scala nazionale. 4°) Frattanto Berlusconi sarebbe obbligato a farsi processare senza nemmeno la copertura - pur minima - ma garantita dal mandato ricevuto dagli elettori. E questo non è un dettaglio da trascurare. Ergo? Il Cavaliere e Bossi sono condannati ad andare d'accordo. Altrimenti corrono il pericolo non solo di essere buttati fuori dalla stanza dei bottoni, ma anche quello di ridurre le loro probabilità di tornarvi presto. Sembra ce ne sia abbastanza per convincere i due leader ad abbassare i toni e a riprendere insieme il cammino. Abbiamo ancora bisogno di loro per non finire male, cioè tra le grinfie di Di Pietro, Vendola e Bersani. Una raccomandazione particolare a Umberto: fa no el pirla. Ci siamo capiti.

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