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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Andrea Tempestini
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Ho conosciuto Filippo Penati quando era presidente della Provincia di Milano. Non posso dire di averlo frequentato molto, ma nelle occasioni che mi sono capitate mi è sembrato un tipo sveglio. Nonostante la passata militanza comunista non aveva pregiudizi ideologici e discuteva senza manifestare il tipico complesso di superiorità di chi sta a sinistra. E ciò, vista  la sua storia, non è poco. Per questo motivo mi dispiace che sia finito nei guai e stia collezionando un avviso di garanzia dietro altro, l'ultimo dei quali ieri, a proposito dell'acquisto delle azioni Serravalle. Ancor più mi infastidisce che il suo partito, il Pd, lo abbia lasciato solo, sospendendolo come si fa con i malfattori. Intendiamoci: tutta scena. Il provvedimento non vale nulla, perché Penati si era già sospeso da sé. E poi è il minimo che potessero fare. Con Riccardo Villari, il deputato piddino nominato presidente della commissione di vigilanza della Rai, non ci misero né due né tre a sbatterlo fuori perché non lasciava posto a chi volevano i vertici. Ciò nonostante, cioè anche se con lui hanno usato il guanto di velluto, mi secca che il Pd abbia messo tutto sulle sue spalle, addebitando a Penati ogni colpa e abbandonandolo – almeno pubblicamente – al suo destino.  Io non so se il primo presidente post comunista della provincia di Milano ha davvero incassato tutti quei milioni di euro come sostiene la procura di Monza. Ma sospetto che se lo ha fatto, le tangenti non fossero per lui ma per il partito. Il denaro non credo sia finito nelle sue tasche e se ci è finito è stato solo in minima parte. Il resto era per il Pd. Certo, già mi vedo le urla dei bersaniani, i quali di fronte a questa frase minacceranno querele come se grandinasse, protestandosi  candidi come vergini. Ma sostenere che i fondi servivano a finanziare il partito e mica il tenore di vita dell'uomo politico non sono io, bensì i pubblici ministeri. I quali ipotizzano che le mazzette siano servite a sostenere l'attività dei democratici. Forse è dunque per questo che dentro il Pd si ha fretta di addossare ogni responsabilità all'ex capo della segreteria di Bersani: così si evita che l'onda dei fondi neri tracimi e arrivi fin su a lambire i vertici. Operazione comprensibile, ma con poche probabilità di successo. Finché si  trattava di soldi girati per il palazzetto dello sport di Sesto San Giovanni si poteva anche credere che fossero stati trattenuti in loco e che qualcuno della Stalingrado d'Italia si fosse arricchito a spese del partito. Ma ora che c'è di mezzo la Serravalle è dura da bere. Il boccone dell'autostrada Milano-Genova è troppo grosso perché lo inghiottissero degli amministratori di periferia. Qui c'è una plusvalenza di quasi 180 milioni che un imprenditore privato, Marcellino Gavio, si è messo in tasca giusto in tempo per investirne 50 nella scalata alla Bnl. Quella, per intenderci, che fece sprizzare di gioia Piero Fassino, il quale al pensiero dell'Unipol  proprietaria della Banca nazionale del lavoro, urlò: «Abbiamo una banca». Potevano i capi del Pd essere all'oscuro di un'operazione di queste dimensioni? Possono non aver chiesto lumi  a Penati, almeno a posteriori? Difficile da credere. All'epoca ci furono polemiche  e domandargli  perché avesse pagato quasi 9 euro azioni che erano state comprate a meno di tre era il minimo.  E poi non bisogna dimenticare che Bersani conosceva bene il presidente della provincia e, come si è visto poi, era in tale confidenza da volerlo al suo fianco in un'altra scalata, quella al Pd. Proprio per questo, settimane fa avevamo posto  al segretario del Pd alcuni quesiti, sollecitandolo a chiarire il suo pensiero  sull'affare. Si trattava di dieci domande che cercavano di far luce su un'operazione che a noi era da subito parsa oscura e poco conveniente per la parte pubblica e che, come è stato stabilito successivamente dalla Corte dei conti, avrebbe provocato un danno erariale di quasi 80 milioni di euro. Alla nostra richiesta finora il leader del maggior partito di opposizione ha opposto un silenzio di tomba, ma c'è da augurarsi che prima o poi risponda. Conviene a lui, ma anche al suo partito. È per questa ragione che oggi riproponiamo i quesiti. Ora che Penati è ufficialmente indagato è necessario capire come sia andata la faccenda. Su, segretario, faccia uno sforzo. Oltre a smacchiare i giaguari, smacchi anche le ombre.

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