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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Lucia Esposito
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Costretti ad assecondare l'umore dell'opinione pubblica, i deputati hanno deciso di dare un taglietto ai propri emolumenti. Così almeno lo hanno presentato i giornali. In realtà la limatina allo stipendio, più che simbolica, è finta. Come spiegato ieri da Tommaso Montesano su Libero, si tratta di una partita di giro. Un trucco che, secondo i calcoli dei signori onorevoli, avrebbe dovuto accontentare i gonzi. Purtroppo qualcuno si è accorto dell'imbroglio e la mancata riduzione ha fatto il giro delle redazioni e dei siti. L'effetto è stato insomma il contrario di quel che ci si aspettava, al punto che i senatori -  anche loro pronti a ridursi lo stipendio per finta - hanno deciso di soprassedere, rinunciando a mettere in scena la pantomima. Dunque, nonostante le rassicurazioni date alla stampa da moltissimi suoi esponenti, la Casta  è intenzionata a tirare diritto, evitando di mettersi a dieta. E visto che l'esempio lo dà chi sta in alto, di conseguenza anche le migliaia di dipendenti in forza a Montecitorio e Palazzo Madama continueranno a conservare i propri privilegi. Che sono molti, visto che il nostro Parlamento è il più caro d'Europa. Oltre ad essere un esercito, funzionari e fattorini di Camera e Senato godono infatti di un trattamento di tutto rispetto. Retribuzioni e agevolazioni al di sopra della media, al punto che solo il  loro stipendio si mangia il 43 per cento del bilancio totale del  Palazzo, cioè la cifra monstre di oltre 700 milioni. Come si arriva a tanto? Semplice, basta ricoprire d'oro gli operai che hanno la fortuna di lavorare in uno dei due rami del Parlamento, retribuendoli con 152 mila euro lordi, più di quanto guadagni un professore universitario. È sufficiente dare ai barbieri (anche se non si capisce a che titolo Montecitorio debba assumere dei tizi che tagliano i capelli agli onorevoli) uno stipendio di 133 mila euro, 35 mila euro in più di quelli incassati da un magistrato di Corte d'appello. Oppure liquidare 253 mila euro agli stenografi, assegno che supera quello di Napolitano e del presidente del Consiglio di diverse decine di migliaia di euro. Come ho già scritto, e come dimostra l'inchiesta che pubblichiamo oggi, il problema della Casta non si esaurisce con il taglio agli stipendi dei parlamentari. Se anche domattina deputati e senatori fossero equiparati a un impiegato di primo livello, Camera e Senato continuerebbero a costare troppo, perché in oltre sessant'anni di Repubblica la politica ha ingigantito il baraccone che le sta intorno.  La questione non si riduce a quanto porta a casa a fine mese l'onorevole. Se l'Italia funzionasse e non ci fossero sprechi,  credo che gli italiani sarebbero pure disposti a riconoscere ai politici un equo compenso. Purtroppo il Paese non va e tutto ciò che ruota intorno al Palazzo è fonte di scialo. Soldi pubblici buttati al vento. Migliaia di persone con stipendi d'oro per servire e riverire la Casta. È da questa grande mangiatoia che bisogna partire. Dall'enorme dispendio di risorse dei contribuenti, di cui la politica si è appropriata. A cominciare da quelle che riceve direttamente grazie al finanziamento pubblico dei partiti. Nei giorni scorsi ci siamo occupati del tesoretto della Lega: una decina di milioni di euro, pagati dallo Stato, i quali  invece che per le campagne elettorali sono stati usati per speculare in Tanzania e a Cipro. Denaro degli italiani che, anziché servire per assicurare a tutti il diritto di fare politica, è stato investito in spericolate operazioni finanziarie. La notizia fece scandalo soprattutto tra i seguaci di Alberto da Giussano, i quali dopo anni di slogan contro Roma ladrona si sono trovati a fare i conti con troppi soldi e brutte ombre. Ora, dopo i padani è il turno dei militanti del Pd, anche loro alle prese con 13 milioni di soldi pubblici transitati misteriosamente sui conti personali del tesoriere della Margherita, partito che pur essendo morto ancora incassa.  Luigi Lusi, senatore del partito di Bersani, avrebbe usato il denaro per comprarsi un lussuoso appartamento a Roma, mentre il resto sarebbe finito in Canada, dimostrando che,  quando c'è da prelevare, a sinistra sono svelti come a destra. Meno recentemente le polemiche sull'uso dei contributi hanno riguardato l'Italia dei valori e perfino il neonato movimento di Grillo.  Le controverse storie, al di là dei profili penali che - qualora esistessero - sarebbero di competenza della magistratura, dimostrano una cosa e cioè che di fondi i partiti ne hanno troppi. Se no non li spenderebbero in Tanzania e non se li farebbero soffiare a loro insaputa. Se servissero a pagare i manifesti e gli spot, in banca non giacerebbero milioni. Al contrario, i partiti si fanno ricchi alle spalle degli italiani. Mentre alla gente normale è richiesto di tirare la cinghia, alcuni onorevoli giocano a fare i finanzieri con i soldi degli altri. Per mettere fine al divertimento non c'è bisogno di una legge speciale, né di una modifica alla Costituzione come servirebbe per l'abolizione delle Province. È  sufficiente un decreto che riduca o, meglio, elimini il finanziamento pubblico. La misura è di certo più urgente ed efficace delle liberalizzazioni e dunque Napolitano non si potrebbe opporre. Così, almeno una volta, Monti riuscirebbe a farci ridere. di Maurizio Belpietro

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