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Marsala, lo scempio del monumento ai Mille abbandonato e ridotto a un rudere

Marco Respinti
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Marsala è un gioiellino del profondo Sud d’Italia, lancia estrema della Sicilia verso occidente, nel trapanese. Deve la fama al museo archeologico di Lilibeo che accoglie i resti di un naviglio dalla Prima guerra punica e quelli di un altro vascello romano, alla bellezza della Chiesa madre, alla riserva naturale attorno all’isola di Mozia, all’impareggiabile vino liquoroso omonimo e naturalmente alla Spedizione dei Mille.

Fu poco distante da qui, a Capo Boeo, che l’11 maggio 1860, dopo una manciata di giorni in alto mare, un migliaio di volontari, in gran parte bergamaschi, salpati da Quarto, ai bordi di Genova, sulle navi Piemonte e Lombardo, attraccò deciso a unificare politicamente l’Italia agli ordini di Giuseppe Garibaldi. Questi, costituito l’esercito meridionale, vittoria dopo vittoria strappò la Sicilia ai Borboni, risalì in armi l’Italia, propiziò i plebisciti di annessione e vide arrivare l’impresa in porto quando, il 17 marzo 1861, fu proclamato il Regno d’Italia sottomesso ai Savoia.

 

 

 

BANDIERA PENZOLANTE

Ovvio che dell’impresa Marsala vada orgogliosa. Molto meno che il già architettonicamente non eccelso Monumento che ricorda cotanta Spedizione versi nell’abbandono più totale e nel degrado più vergognoso. Chiunque giunga a Marsala sa di non poter mancare l’appuntamento con i cimeli garibaldini. Google Maps alla mano, o una piantina più tradizionale, dal centro si scende rapidamente, percorrendo Corso Garibaldi (il va sans dire), al lungomare. Là svetta il Monumento ai Mille. Svetta si fa per dire. Si nota infatti ben poco. La bandiera italiana vi penzola fiacca. Niente cartelli, mancano le indicazioni. Solo il cancello d’ingresso conferma trattarsi del luogo giusto con tanto di regole di visita suddivise in orari invernale ed estivo, ampie pause pranzo e giorno di riposo compresi. Solo che l’insegna parla a nessuno: il Monumento infatti è chiuso. Da anni.

A PRORA DI NAVE

La prima cosa che colpisce è la bottiglia vuota di birra accanto all’entrata che qualche sozzone ha lasciato e qualche pelabrocco pure. La seconda è la puzza di marcio. Colpa di alghe e altri residui marini accumulati in quelle collinette che deturpano la vista mare fra battigia e Monumento. Ma non è solo la bassa pressione di questi giorni. Se c’è il Sole, seccano e puzzano; se piove, si bagnano e puzzano uguale. Possibile che debbano restare lì? Fatto un po’ di sforzo, anche il visitatore superficiale capisce che il Monumento sia sagomato a prora di nave. Miserella, più che essenziale. Poi nota anche che le murate di questo naviglio striminzito siano lamiere incise di nomi. Se c’è il Sole che abbaglia, si vedono poco; se piove con il cielo grigio, pure. Non ci vuole un genio per capire che siano gli elenchi dei Mille, ma nulla, dico nulla spiega, racconta, ricorda.

In compenso sulle pareti esterne è tutto un lordume di vernici, scritte, Caio ama Tizia, qualche nome arabo, altri grafemi indecifrabili, insulti, un numero spropositato di falli maschili di ogni misura e colore, segnacci vari. A terra c’è immondizia ovunque, sopra i gabbiani stridono a chi, passando di lì in cerca della storia d’Italia, ne disturba i litigi scatenati per accaparrarsi i resti rancidi di qualche merendina che nessuno ha rimosso. Al cento della struttura, pareti trasparenti fanno supporre una sala didattica, un antiquarium, una biglietteria. No, per un po’ la sala ha ospitato l’Ufficio per le informazioni turistiche, ora ci sono solo roba abbandonata e sporcizia in vetrina davanti agli occhi del mondo.

 

 

 

IL FUNERALE DELLA PATRIA

Il Monumento fu inaugurato l’11 maggio 2016, 156 anni dopo lo sbarco dei Mille e 30 dopo che l’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi, pose la prima pietra nel giugno 1986. Per due volte è stato vandalizzato da ignoti. I più noti lo hanno invece vezzeggiato per qualche ora prima di fare di quel Monumento alla Spedizione che ha trasformato il Risorgimento nazionale in mito un Tricolore del degrado, un cenotafio dell’abbandono, la menopausa della memoria, il funerale della patria impotente. A meno che non si tratti di una presa di posizione neo-borbonica, uno sbigottito si chiede come sia possibile che, mentre in tutta Italia si sprecano statue per l’Eroe dei Due Mondi, a Marsala, che pur trabocca di targhe e steli (una ricorda la giumenta ribattezzata dal Generale con il nome della città), non ci sia nemmeno un pelo della sua barba e l’omaggio ai suoi prodi sia solo un letamaio. Dopo di che rispettosamente lo chiede al sindaco di Marsala, al presidente della Regione, al ministro della Cultura.

 

 

 

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