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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Lucia Esposito
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Abbiamo evitato nei giorni scorsi di unirci al coro dei laudatori di Mario Monti, i quali hanno colto l'occasione del centesimo giorno di governo per dire tutto il bene possibile del premier e dei suoi ministri. Del resto, il professore non aveva ancora messo piede a Palazzo Chigi che già molti nostri colleghi spargevano saliva lungo la strada che avrebbe dovuto portarlo alla guida dell'esecutivo. Se ci siamo astenuti dall'intrupparci tra i cantori di Monti non è però per mancanza di stima nei confronti dell'ex rettore della Bocconi. Tutt'altro. Il premier ha dimostrato e dimostra di avere tempra e rigore e anche nel suo nuovo incarico si è subito messo al lavoro di gran lena. Se abbiamo atteso a fare un bilancio dei suoi primi cento giorni è piuttosto perché desideravamo tirare le somme a bocce ferme, con di fronte dati più concreti di quelli diffusi dagli uffici stampa. Ma ora, con i primi responsi statistici e di mercato, qualcosa si può dire e soprattutto molto si può capire riguardo a ciò che succederà nel prossimo anno. Veniamo innanzitutto alle riforme. Finora, l'unica significativa è quella delle pensioni. Monti, a differenza di chi lo ha preceduto, in quattro e quattr'otto ha portato l'età cui ritirarsi a 67 anni, così come chiedeva l'Europa e insieme ad essa il buon senso. Prima di lui ci avevano provato in molti, a destra e a sinistra, ma nessuno era riuscito a superare la paura di perdere consensi. Onore dunque al presidente per aver fatto ciò che altri non sono riusciti a fare. Meno commendevole è invece la riforma del mercato. Dei provvedimenti varati sotto il nome di liberalizzazioni, quelli che davvero incideranno nel borsellino degli italiani sono pochi, in quanto le grandi rendite di posizione non sono state toccate e su quelle poche che erano state annunciate in realtà si è fatta marcia indietro. Cosa assai probabile anche per quanto riguarda le commissioni delle banche introdotte ieri l'altro. Dell'unica vera riforma di mercato che era attesa e più volte annunciata invece non c'è traccia. Pur essendo stato ribadito dal ministro del welfare, l'intervento sull'articolo 18 è ancora in fase di discussione e non è escluso che ci resti per tutta la legislatura. Certo, poi ci sono stati i tagli di spesa, in particolare quelli riguardanti Palazzo Chigi, che ha annunciato di essere riuscito in tre mesi a risparmiare ben 43 milioni di euro. Risultato assolutamente positivo, ma si tratta di un'inezia nel mare magno della spesa pubblica. Infatti, la maggior parte dei costi è rimasta la stessa. Le auto blu (di cui ci occupiamo oggi in prima pagina) sono praticamente le stesse, il finanziamento ai partiti (anche di questo diamo conto oggi a proposito del caso Renzi) non è diminuito di un euro, perfino le province sono rimaste al loro posto nonostante l'invito a sparire rivolto loro dalla gran parte degli italiani. Tra le luci dei primi mesi di governo, va sicuramente ricordato il calo dello spread, che dopo essere arrivato a sfiorare quota seicento, ieri  ha toccato quota trecento. Non sappiamo se il merito dello scampato pericolo per i nostri conti pubblici sia tutto da attribuirsi al premier, o non piuttosto della politica monetaria adottata da Mario Draghi, da poco diventato governatore della Banca centrale europea, sta di fatto comunque che lo spread è calato e questo è un punto a favore del professore. In calo anche il Prodotto interno lordo, ma purtroppo questo non è un titolo di merito, ma semmai il contrario. Se il Pil scende, vuol dire che l'economia non gira e non c'è nessuna possibilità di farla decollare. Che la produzione cali non è una buona notizia neanche per le tasse, le quali, pur essendo state aumentate a dismisura per volere del premier, c'è il rischio che diminuiscano in volume. In pratica salgono le aliquote, scendono le entrate. A causa della recessione già a gennaio nelle casse del Fisco sono affluiti meno quattrini di quelli previsti e nei prossimi mesi se l'economia non riprende c'è il rischio che manchino altri soldi. In tal caso sarebbero guai, perché spremuto il limone, cioè i contribuenti, non ce ne sarebbero altri da spremere. Dunque, a guardare bene i fatti senza farsi condizionare dal clima osannante che circonda il governo, si può dire che Monti con le pensioni era partito bene, ma poi si è perso con le semplificazioni e le liberalizzazioni, senza mai affondare il coltello nella spesa pubblica, ma limitandosi a taglietti di circostanza, sufficienti a guadagnare un titolo sulle prime pagine dei giornali ma non a risparmiare quattrini veri. Immagino la giustificazione. In cento giorni non si poteva fare tutto. Vero, ma adesso, superata la boa dei tre mesi e lasciata alle spalle l'ondata di melassa, forse è il momento di agire. Di fare cioè quello che tutti si attendono ma che ancora non intravedono. Ovvero le misure per la crescita. Se le alte tasse non bastano a riequilibrare i conti, ad aumentare adesso deve essere lo sviluppo. Ma questo governo ha in testa dei provvedimenti per la crescita? Sa quali misure adottare? Se dobbiamo essere sinceri fino in fondo, la nostra risposta è no. di Maurizio Belpietro

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