Cerca
Logo
Cerca
+

Lo scudetto sulla maglia azzurra inventato da d'Annunzio e l'intollerabile abuso dell'Italia in ginocchio...

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Vai al blog
  • a
  • a
  • a

In effetti siamo un po’ in ritardo, ma forse qualche “anima bella” politicamente corretta potrà ancora convincere, all’ultimo, la nostra Nazionale di calcio a cambiare la maglia. Ci sovviene, infatti, che lo scudetto tricolore sulla maglia azzurra fu inventato nientemeno, fra teschi, pugnali e gagliardetti neri, da d’Annunzio, durante l’epopea fiumana.

Individualista per natura, il poeta abruzzese non amava troppo gli sport di squadra, ma, sempre attento alle novità, nel 1887, sulle spiagge di Francavilla (CH) giocava le sue prime partite. Il gioco del pallone stava prendendo piede in tutto il mondo, dall’Inghilterra, e il suo amico compositore Francesco Paolo Tosti aveva portato da “Albione” un nuovissimo pallone di gomma. Racconta Giammarco Menga in “Sportivamente d’Annunzio” (ed. Croce, 2016) che, durante uno scontro, il Vate perse due denti e con essi – prudentemente - l’abitudine di giocare a pallone.

Passarono vent’anni finché, con la presa di Fiume, nel 1919, lo sport viene inserito come articolo fondamentale nella futuristica “Carta del Carnaro”: “Gli statuti guarentiscono (sic) a tutti i cittadini d’ambedue i sessi l’educazione corporea in palestre aperte e fornite”.

L’esercizio fisico ha, per il Vate, importanza fondamentale e all’inizio del ’20, i legionari già si cimentano in gare di lotta, podismo e calcio. Per rinsaldare l’amicizia fra cittadini fiumani e militari occupanti viene così organizzata una partita che si disputa il 7 febbraio 1920 presso lo stadio di Cantrida. I primi indossano la maglia nero-verde di una squadra locale, l’Esperia, i legionari, invece, la maglia azzurra  della nazionale italiana che, tuttavia, all’epoca recava sul petto lo scudo sabaudo con la croce bianca in campo rosso. Così il Vate, volendo dare un chiaro segnale a casa Savoia, lo fa sostituire con uno scudetto tricolore, semplice, senza simboli:  Fiume doveva essere italiana, ma sotto il vessillo repubblicano. Da allora, lo scudetto bianco-rosso-verde ricomparve nel ’31, accanto al fascio littorio, e poi nel ’47, nudo e crudo, per una amichevole con la Svizzera. Ammirando ancor oggi quell’inconfondibile stemma, (chissà quanto durerà) inevitabile chiedersi che cosa avrebbe detto il Vate nel vedere, stasera, i giocatori italiani inginocchiati in omaggio a un problema d’oltreoceano cavalcato da gente che mette a ferro e fuoco le città e distrugge statue. Li avrebbe guardati come si guardano delle pulci.

L’iniziativa sarebbe già intollerabile se fosse stata presa in modo autonomo. La nazionale di calcio, infatti, rappresenta l’Italia che, al momento, non ha fatto pervenire notizia di volersi inginocchiare davanti a chicchessia. Nemmeno di fronte al Milite Ignoto, di cui quest’anno ricorre il centenario, o alle più alte cariche dello Stato. Quei calciatori sono strapagati per giocare partite e portare dignitosamente il nome dell’Italia all’estero, NON PER PARTECIPARE A INIZIATIVE POLITICHE O IDEOLOGICHE di qualsivoglia genere, di destra, di centro, o di sinistra. Peraltro non è che chi non si inginocchia sia automaticamente un tesserato del Ku Klux Klan, quindi nulla lo giustifica.

Si tratta di un vero e proprio abuso, di un affronto gravissimo alla dignità della Nazione, davanti al quale davvero in pochi hanno reagito. Il gesto di inginocchiarsi ha una valenza simbolica assoluta: è la sudditanza totale, la sottomissione completa. Paradossale come non si inginocchi più nessuno, nemmeno Bergoglio davanti al Santissimo Sacramento, e invece lo debbano fare dei calciatori di fronte alle cosette degli uomini.

Tuttavia, se l’idea fosse venuta a Mancini, sarebbe stata una trovata, senz’altro grave e criticabile, ma almeno prodotta in modo autonomo: la creatività e la teatralità degli Italiani, per una volta, uscita male. No, neanche questo.

Ci si inginocchierà imitando gli altri, in nome del più becero conformismo, solo per compiacere, come affettati cicisbei, la squadra avversaria e per evitare pavidamente qualche stolida critica sui giornali.

Una vergogna, una banalità e uno squallore senza fine. Un Paese serio, di fronte a un'offesa del genere, dovrebbe non guardare mai più una partita di calcio e non andare mai più allo stadio.

Impossibile? Impensabile?

E allora l’umiliazione di stasera è quello che ci meritiamo. Buon inginocchiamento a tutti.

Dai blog