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Walter Ricciardi, nostalgia pandemica: la sindrome di Stoccolma al tempo del Covid

Andrea Tempestini
Andrea Tempestini

Milanese convinto, classe 1986, a "Libero" dal 2010, vicedirettore e digital editor. Il mio sogno frustrato è l'Nba. Adoro Vespe, gatti, negroni e mr. Panofsky.

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Tra gli effetti collaterali della pandemia, c'è il fatto che abbia riempito l'esistenza di molti, per un verso o per l'altro: dal virologo assurto a oracolo (si fa per dire) al vicino di casa/amico/parente animato da eroismo. Nuovi eroi che si tamponano senza sintomi, si rinchiudono in casa per quarantene sempiterne, non toccano-baciano-sfiorano e "lo facciamo per gli altri". Forse nobile, ma forse anche un poco peloso. Sentirsi eroi nel bel mezzo di esistenze che svicolano tra frustrazioni, carenze e assenza di significato dà conforto (anche - e questo lo trovo davvero inquietante - due anni dopo l'avvento del virus). E parecchie esistenze, per una lunga sequenza di ineluttabili fattori, svicolano tra frustrazioni, carenze e assenza di significato. Forse anche la mia.

Bene, dopo la premessa faccio un nome: Walter Riccardi. Lungi da me attribuirgli un'esistenza vuota e la volontà di colmarla con una dose booster di eroismo peloso. Mi limito a notare come anche lui pare essere stato colpito, sin dal principio, dalla sindrome della nostalgia pandemica, una sorta di sindrome di Stoccolma al tempo del Covid. Non solo per le innumerevoli, infinite volte in cui ha pronunciato la parola "lockdown", non per esorcizzarlo ma per invocarlo. Mi riferisco, in questa circostanza, a quanto ripetuto in più contesti nelle ultime ore (in cui ha fatto anche notare, va da sé, come "a febbraio chiesi il lockdown generalizzato, e mi hanno assalito tutti", così su Repubblica. E si chieda il perché).

Il punto è che l'apocalittico Walter Ricciardi ricorda che "quando il virus dilaga il pandemonio si evita solo intervenendo prima". Immagini dantesche, infernali, fuoco, fiamme e dannazione. E come si interviene prima? "Oltre a vaccinare tutti bisognerebbe fare i tamponi alla stragrande maggioranza degli italiani e isolare gli infetti. Se ne uscirebbe in otto giorni. È un'operazione che tutti dicono sia impossibile ma i cinesi per un caso testano 10 milioni di persone. Noi con 200mila potremmo ben testare 60 milioni di italiani", conclude Ricciardi.

Bene, "tutti dicono che è un'operazione impossibile" e in effetti lo è. Giusto la Cina può riuscirci, ma per fortuna non siamo la Cina, anche se Ricciardi sembra prenderne atto con un pizzico di sorprendente rimpianto (davvero Ricciardi sta elogiando il modello cinese? Davvero davvero?). Ma a farmi riflettere più di tutto il resto è quella pazza idea di tamponare 60 milioni di italiani, tutti insieme, oggi che si dibatte su tamponi inutili e asintomatici tamponanti (per eroismo?), oggi che, forse, le cose sembrano migliorare senza mai essere precipitate come accadde nelle ondate uno-due-tre.

Provate soltanto a immaginare: 60 milioni di tamponati e, ipotizziamo, tre-quattro-cinque milioni di contagiati. Provate a soltanto a immaginare i titoli del bollettino di domani.

Più nostalgia pandemica di questa, non si può.
 

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