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Beppe Provenzano, il regressista col dito puntato: puro Pd

Andrea Tempestini
Andrea Tempestini

Milanese convinto, classe 1986, a "Libero" dal 2010, vicedirettore e digital editor. Il mio sogno frustrato è l'Nba. Adoro Vespe, gatti, negroni e mr. Panofsky.

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Più "frontman" di Enrico Letta e più "dito puntato" di Laura Boldrini, tra i grandi protagonisti o presunti tali di questa campagna elettorale ecco Giuseppe Provenzano, vicesegretario Pd ed ex ministro per il Sud nel governo Conte II. Barba curatissima, capello biondo cenere inamovibile, completi impeccabili e falange dell'indice destro sempre pronta a scattare in favor di telecamera, il Nazareno sembra avergli appaltato la componente barricadera della spuntata campagna elettorale dem.

Ne ha sparate tante. Si pensi al "con il blocco navale Giorgia Meloni porterà l'Italia in guerra". Oppure, come da titolo di un'intervista a La Stampa di un paio di settimane fa (la foto di Provenzano in pagina rigorosamente con dito puntato), quando disse che "la destra è unita solo contro i poveri".

40 anni, cresciuto in provincia di Caltanissetta e fiero siciliano, la passione per la politica nata dopo la strage di Capaci, nel Pd la benedizione di Andrea Orlando prima e Letta poi, una sbandata per le Sardine, in questa campagna elettorale da frontman non dichiarato si è specializzato nel "lo abbiamo fatto prima noi". Il Sud su tutto, va da sé, lui che il Mezzogiorno lo ha nel cuore: nel diluvio di interviste e apparizioni tv, Provenzano parte sempre dal "mi sono battuto io contro i divari territoriali, anche per le aree dimenticate" da Giuseppe Conte e M5s. Eppure tra i dem è forse il più fiero sostenitore del reddito di cittadinanza, tanto da chiederne "un'estensione" ai tempi del primo lockodwn nel marzo 2020 (ora, Beppe, sul reddito si mostra un poco più cauto, perché alla fine quel "mi sono battuto io" lo deve difendere a denti stretti).

E ancora, alla martellante campagna al Sud del M5s sul salario minimo, replica dicendo che lo abbiamo fatto prima noi. "Sul salario minimo - spiega al Quotidiano Nazionale - siamo noi che abbiamo migliorato la proposta legandola ai contratti, perché non solo nessuno deve guadagnare meno di 9 euro l'ora, ma ci vogliono anche le ferie, la malattia". Anche sulla legge elettorale "noi volevamo cambiarla, ma eravamo soli". Insomma, lo avremmo fatto prima noi, anche se quella legge scordano di averla votata.

Lo sguardo perennemente rivolto al passato, la sempiterna carenza di proposte (cifra stilistica dem, al netto della "mensilità in più"). Quel ripetere ossessivamente che "noi siamo meglio di loro" (perché loro puzzano di fascismo, lo dice spesso, e qui lo sguardo è rivolto al passato remoto). Eppure Provenzano rivendica in continuazione il suo essere progressista. "E comunque - spiega sempre al Quotidiano Nazionale - la prima regola per un progressista è non fare regali alla destra". Bel progressismo. Un progressismo conservativo, ostruttivo. Per Provenzano il "progresso" non guarda al futuro ma all'avversario, "alle destre", a "chi vota Terzo Polo che in verità vota centrodestra", al M5s finto amico del Mezzogiorno.

Capello impomatato e indice sempre ben puntato, ciò che conta è fermare l'avversario. Firmato, Beppe Provenzano, il regressista.

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