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Il mistero di Cupydo, protagonista dell’ultra contemporaneo
sabato 1 novembre 2025

Il mistero di Cupydo, protagonista dell’ultra contemporaneo

Il mistero di Cupydo, protagonista dell’ultra contemporaneo
Nicoletta Orlandi PostiNicoletta Orlandi Posti è nata e cresciuta alla Garbatella, popolare quartiere di Roma, ma vive a Milano. Giornalista professionista e storica dell'arte, cura su LiberoTv la rubrica "ART'è". Nel 2011 ha scritto "Il sacco di Roma. Tutta la verità sulla giunta Alemanno" (editori Riuniti); nel 2013 con i tipi dello stesso editore è uscito "Il sangue politico": la prefazione è di Erri De Luca. Il suo romanzo "A come amore", pubblicato a puntate su Facebook, ha dato il via nel 2008 all'era dell'e-feuilleton. A febbraio del 2015 è uscito il suo primo ebook "Expo2051". Nel 2016 Castelvecchi ha pubblicato il suo libro "Le bombe di Roma"; nel 2019 è uscita la seconda edizione. Sta lavorando a una trilogia dedicata ai misandricidi dal titolo "Ragazze di Buttiga". Il titolo del blog è un omaggio al saggio del prof Vincenzo Trione.
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Nasconde il volto dietro un passamontagna giallo: restano gli occhi, neri come il carbone, e la bocca incorniciata da baffi neri. In quella fenditura di stoffa c’è già tutto: identità velata, intenzione dichiarata, un invito a spostare l’attenzione dal biografico al gesto. Cupydo — pseudonimo, origini partenopee, base a Milano — è uno di quei casi in cui la maschera non è sottrazione ma strumento: serve a far avanzare l’opera, a spingerla oltre il recinto dell’io. E in effetti il suo lavoro costruisce connessioni, ponti, non muri, tra linguaggi che il sistema dell’arte troppo spesso tiene separati per comodità: graffiti storici e scultura 3D, pittura e intelligenza artificiale, tela e NFT, sottopassi urbani e musei.

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Chi lo segue sui social lo sa: Cupydo si definisce fondatore e portavoce del Coesionismo, un movimento digitale che non si limita a incollare tecnologie alla superficie dell’arte, ma prova a renderle sostanza del racconto. Duchamp e Pino Pascali stanno sullo sfondo, come genealogia: l’oggetto che slitta di senso, il gioco serissimo con i materiali, l’attenzione al dispositivo. Ma l’orizzonte è “ultra contemporaneo”, come lui lo chiama: il qui e ora di una pratica che usa AI, stampa 3D e blockchain per interrogare la nostra vita iperconnessa senza cedere alla fascinazione sterile del gadget.

Lo si capisce bene al Cupydo’s Way Museum, nel sottopasso di Molino Dorino a Milano: non un’occupazione, ma un laboratorio aperto che dialoga con le tracce delle crew storiche, PNP in primis, e con artisti di generazioni diverse. Non un white cube, ma un luogo di passaggio. È lì che opere come Sacro Cuore, Madonnina Crimilàn, Teschi d’Artista, Emoji Invasion e Stickers Wall mettono in cortocircuito devozioni cittadine e iconografie globali, la tattilità della scultura e la volatilità del digitale. “Voglio costruire ponti, non muri”, dice in un’intervista su Cripto Wallet. “Per troppo tempo la street art è rimasta chiusa dentro codici ripetuti. Ora è il momento di farla crescere, e per farlo uso tutto: AI, stampa 3D, linguaggi digitali e anche la blockchain”.

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Quel “tutto” ha una grammatica precisa: coesionismo d’autore. L’idea nasce come prompt scritto, dialogo “quasi alchemico” con l’AI che restituisce parole-immagini; poi la stampa 3D dà corpo all’intuizione, la scultura scende in strada e si misura con l’attrito del reale. A Napoli, in via Cirillo, Emoji Invasion ha disseminato centinaia di icone stampate in 3D e un grande cuore in fiamme: un gesto semplice, popolare, che parla soprattutto ai ragazzi - "le emozioni intrappolate negli smartphone”, dice Cupydo - e li spinge a riappropriarsi di un lessico affettivo pieno, non delegato alle faccine. L’operazione è stata possibile grazie a ViviaCirillo di Felice Riccardi, progetto di quartiere che ha rimesso al centro una strada dimenticata. Anche qui: alleanza, non colonizzazione.

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Il rapporto tra fisico e digitale è uno snodo: prima ancora del sottopasso, Cupydonel giorno di San Valentino ha trasformato i vagoni della metro milanese in un dispositivo di fruizione ibrido. Sulle locandine: tele volutamente “incomplete”, QR code, l’invito a inquadrare con lo smartphone. Il risultato non un effetto speciale, ma una domanda benjaminiana sull’aura nell’epoca della riproducibilità algoritmica: dove sta l’opera, quando abita due supporti che si attivano solo stando insieme? La sua serie “nft insert coin to play” — con i dittici just a red balloon / just a girl X e just a blue balloon / just a girl X — mette in scena proprio questa co-dipendenza, con una semplicità quasi infantile che è in realtà precisione concettuale.

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La riflessione, in Cupydo, passa spesso dal tatto. La sua Fluffy Art nasce da una domanda antica: perché la morbidezza ci attrae così tanto? La risposta affonda in Winnicott e nell’oggetto transizionale: copertine, peluche, materiali che consolano mentre separano. Nei lavori “fluffy” — pannelli di legno rivestiti di tessuti vellutati, innesti in resina e moduli stampati in 3D — la superficie chiede di essere sfiorata, riportando il corpo nell’esperienza estetica. A volte la critica si fa Pop, come nella serie Accarezzame: Fluffy Bags formato extra-large, sacchetti di lusso trasformati in reliquie morbide che interrogano il consumo come anestetico sociale e la sua ostensione permanente sui feed. Altrove l’indagine vira al neo-minimalismo dei sTrips: linee incise, spazio negativo, tipografia audace. “Delle semplici linee”, scrive Cupydo; e intanto occhieggia Fontana, per ricordarci che la semplicità è spesso il nome cortese della profondità.

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C’è poi la traiettoria che porta denaro, immaginario e storia dell’arte a collidere: Ultra Dollar. Banconote da un dollaro diventano micro-tele su cui scorrono Rinascimento e avanguardie (dalla Gioconda a Picasso, da Modigliani a Magritte), pop e street (Warhol, Haring, Basquiat), cinema, musica, sport, fino agli eventi che traumatizzano la memoria collettiva: l’11 settembre, il tentato attentato a Trump. Non citazionismo, semmai montaggio: l’“ultra contemporaneo” come sovrapposizione di epoche e linguaggi su un supporto — il denaro — che è l’icona globale per eccellenza. La serie, affidata in esclusiva al collezionista Marco Guareschi e alla sua galleria a Parma, dialoga apertamente con la tradizione della Dollar Art ma ne scarta l’esito più decorativo: i segnalibri d’autore che la accompagnano, pensati come “marker” del presente infilati tra le pagine di un libro, sono piccoli dispositivi di tempo, pronti a riaffiorare come ricordi. In Francia, l’architetto Dominique Barlaud (progetto moneyfornothing1001) ha incluso La creazione di Adamo di Cupydo nella propria ricerca: un ulteriore passaggio di scala, un’altra prova di permeabilità tra circuiti.

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Il riconoscimento istituzionale è arrivato presto, e non è secondario: due menzioni d’onore dall’Istituto Amedeo Modigliani di Roma e dall’Archivio Storico Olivetti di Ivrea. Non legittimazioni “a posteriori”, ma indizi di una postura che non disprezza la cornice storica mentre gioca a forzarla. In parallelo, con Roberto Castaldo e la piattaforma Inerte.it, Cupydo esplora la blockchain non come feticcio tecnico ma come modello di relazione: autenticazione delle opere, proprietà condivisa, micro-ricompense abbinate alla fruizione. “Immagina una scultura in strada che, inquadrata, sblocca contenuti digitali esclusivi”, racconta a Cripto Wallet. “O un QR collegato a un wallet che accredita micropagamenti a ogni scansione”. È un’idea semplice e radicale: l’opera viva come contratto tra spazio fisico, valore digitale e comunità.

In controluce, resta la maschera gialla. Non è un feticcio da supereroe urbano; è un promemoria. L’arte, qui, non chiede di conoscere il nome all’anagrafe: chiede di partecipare, di attraversare, di toccare. Che si tratti delle ali che segnano i suoi profili, delle icone 3D che invadono un quartiere, delle linee incise che respirano nello spazio negativo, il Coesionismo di Cupydo è soprattutto un’etica dello sguardo: tenere insieme ciò che pare inconciliabile senza ridurlo a somma. La città come piattaforma, la tecnologia come grammatica, il denaro come segno da forzare, la morbidezza come memoria tattile, l’anonimato come campo libero per l’opera. “Arte che nasce dal dialogo tra cuore e codice”, dice del suo Way Museum. Del resto si chiama Cupydo e scocca frecce che contaminano cultura.