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Nicolas Maduro e quell'inquietante timore: "Farò la fine di Dilma?"

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Nicolas Maduro, il presidente del Venezuela, e' in uno stato di comprensibile panico. Ha visto come e' finita male la compagna brasiliana Dilma Roussef, estromessa dalla presidenza giorni fa con un voto di impeachment del parlamento, e teme di fare la stessa fine. Cosi' ha giocato d'anticipo, e ha dichiarato 60 giorni di “stato di emergenza” per contrastare il complotto che, secondo lui, i paesi dell' OPEC e gli Stati Uniti starebbero ordendo per rovesciare il suo governo con un colpo di Stato. Non e' entrato nei dettagli su che cosa significhi la misura, ma si sa che il precedente dell'anno scorso, quando il governo rosso fece una dichiarazione simile limitata alle regioni venezuelane confinanti con la Colombia, porto' alla sospensione delle garanzie costituzionali per le popolazioni di quelle aree. Maduro ha voluto rispondere cosi' alle dichiarazioni di alcuni ufficiali dell'intelligence americana, rese venerdi' ai giornalisti, che esprimevano la seria preoccupazione del governo USA sul potenziale rischio di un crollo economico e politico del Venezuela, vista la drammaticita' dell'attuale situazione. Ed avanzavano la previsione che Maduro molto probabilmente non arrivera' alla fine regolare del suo mandato. Dopo aver vinto alla grande le recenti elezioni per il rinnovo del parlamento, le opposizioni stanno in effetti procedendo sulla strada, legalmente prevista, di “defenestrare” con i voti il leader comunista, continuatore politico della rivoluzione sociale di Hugo Chavez che e' arrivata al capolinea. I prezzi calanti del petrolio stanno dando il colpo di grazia ad una economia, avversa al business privato, che ha goduto per anni del consenso sociale “comprato” con la redistribuzione alle classi povere, secondo il copione socialista, delle risorse pubbliche basate sul greggio. Ma da tempo la gente vive in una condizione penosa, anche se la nazione ha la fortuna di avere ricchi giacimenti, perche' e' vittima del “lodo Thatcher” (per la Lady di Ferro, “il socialismo fallisce quando finiscono i soldi… degli altri»). Di qui il peggioramento tangibile della qualita' della vita: spariscono le medicine e i generi alimentari, i tagli di energia sono sempre piu' frequenti, gli assalti violenti ai supermercati e ai camion che trasportano derrate sono fatti di cronaca ricorrenti. Di fatto, la quasi totalita' delle merci viene importata, ma per pagare occorrono i dollari che sono spariti dopo le ricorrenti svalutazioni del bolivar. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, l'inflazione reale si avvia quest'anno al 500% (cinquecento percento) e Bloomberg News, qualche giorno fa, ha titolato una inchiesta sulla valuta venezuelana dal titolo che sembra una barzelletta ma e' la pura verita': “Il Venezuela non ha abbastanza soldi per pagarsi i suoi soldi”. Cioe' non e' piu' in grado di tenere il passo dei pagamenti alle ditte internazionali che producono le banconote venezuelane. Il problema e' che con la iper-inflazione la banca centrale sta ordinando miliardi di biglietti di bolivar da rifornire alle banche per soddisfare la circolazione di una valuta che vale sempre di meno. Chi puo' permettersi di andare a cena fuori deve riempire di banconote borse e zainetti per pagare il conto. Un mese fa la De La Rue, la piu' grande produttrice al mondo di banconote, ha mandato alla banca centrale del Venezuela una lettera lamentando di avere un credito di 71 milioni di dollari e che avrebbe informato i suoi azionisti se i pagamenti, in forte ritardo, non fossero arrivati subito. La lettera e' stata mandata da una fonte anonima a un website venezuelano ed e' stata confermata da Bloomberg News. “E' un caso senza precedenti nella storia che un paese con una inflazione cosi' alta non possa avere nuove banconote”, ha detto Jose Guerra, parlamentare dell'opposizione ed ex direttore della ricerca economica della banca centrale di Caracas. L'anno scorso la banca centrale aveva ordinato piu' di 10 miliardi di banconote, superando la richiesta di 7,6 miliardi fatta dalla Federal reserve USA, che ha una economia molto piu' grande del Venezuela. Prima delle elezioni del 2015, continua l'inchiesta di Bloomberg News, la banca centrale ha contattato la inglese De La Rue, la francese Oberthur Fiduciaire e la tedesca Giesecke & Devrient perche' mandassero 2,6 miliardi di banconote. Il cash e' arrivato in dozzine di 747 e aerei charter, ed e' stato trasportato di notte da camion corazzati, sotto la protezione di cecchini, alla famelica banca centrale. Ma alla fine del 2015, l'ordine e' stato poi triplicato fino a 10,2 miliardi di biglietti. A questo punto le compagnie produttrici sono entrate in allarme: La De La Rue ha iniziato a giugno 2016 a soffrire dilazioni nei pagamenti e cosi' anche le altre due societa'. Il governo di Maduro ha quindi ricevuto finora “solo” 3,3 miliardi di banconote. “Non credevamo ai nostri occhi” ha detto a Bloomberg una fonte degli stampatori a conoscenza delle commesse. “Un ordinativo tanto grande era sufficiente a coprire le nostre capacita' produttive per un anno, ma come fai ad esporti completamente a un paese tanto a rischio qual e' il Venezuela?”. A complicare la faccenda e' che il taglio maggiore dei bolivar e' la banconota da 100, ma con questa oggi ci compri una sigaretta sciolta. Lo Zimbabwe deve temere di perdere il suo record mondiale, mentre i fantasmi della Germania di Weimar si aggirano per le strade di Caracas. di Glauco Maggi  twitter @glaucomaggi

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