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La spending review di Donald Trump: una lezione per l'Italia

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Donald Trump va all'attacco del budget, con l'obiettivo dichiarato di tagliare spese federali per 3.600 miliardi di dollari in 10 anni. Oggi il direttore del Bilancio Mick Mulvaney presenta ufficialmente il piano, ed e' una coincidenza curiosa che sia lo stesso giorno in cui il presidente USA atterra a Roma, nel paese dove il “reddito di cittadinanza” e' un'ipotesi politica “seria” proposta da chi spera di vincere le prossime elezioni e ha appena organizzato una marcia ‘francescana' a sostegno del “welfare nazionale” pagato dai contribuenti (in realta' il “pagamento” sarebbe lo stacco di ulteriori cambiali a carico di un debito pubblico senza fondo, gia' oggi al 130% del PIL). In America Obama ha circa raddoppiato il debito federale nei suoi otto anni, portandolo a quasi 20.000 miliardi di dollari e al 77% del PIL, e Trump, andando nella direzione opposta di Obama negli USA, e di Grillo e soci in Italia, cerca di invertire il trend. Con la sua proposta, che dovra' essere discussa e approvata dal Congresso, l'amministrazione Trump vuole imporre, tra l'altro, impegni di lavoro per chi oggi percepisce i “buoni pasto pubblici” in quanto e' povero, ma e' anche giovane, sano e perfettamente in grado di lavorare. Nel 1939, quando Franklyn Delano Roosevelt introdusse la misura di assistenza per allievare la poverta' vera di un paese che era ricaduto quell'anno in recessione malgrado il decantato New Deal di cinque anni prima, il programma si chiamava, pane al pane,  “Food Stamp Program” (Programma di buoni per il cibo). Negli Anni 70 gli americani stavano molto meglio di 30 anni prima, ovviamente, ma nella sua Guerra alla Poverta' il DEM Lyndon Johnson penso' non solo di espandere il programma, ma avvio' la riforma del suo nome in omaggio alla correttezza politica che e' diventato il tratto distintivo dei Democratici post J. F. Kennedy. Oggi non sono piu' chiamati ‘food stamps' ma contributi  SNAP, che sta per Supplemental Nutrition Assistance Program, o ‘programma di assistenza per la nutrizione supplementare'. Ci sarebbe da ridere di tanto pudore nel non voler offendere chi mangia a sbafo, chiamandolo invece “uno che integra la propria nutrizione”, se non ci fossero di mezzo i numeri. Il programma costava circa 33 miliardi nel 2007, con 26 milioni di cittadini iscritti. Sei anni dopo, nel 2013, i costi erano schizzati a 80 miliardi, con 47,6 milioni di partecipanti. Malgrado la ripresa economica recente, di cui Obama si e' vantato lasciando la Casa Bianca quando ha ricordato che il tasso di disoccupazione e' appena sopra il 4%, ossia ai livelli del 2007 prima della grande crisi, nel 2016  soldi federali spesi per lo SNAP sono stati 71 miliardi di dollari e i beneficiari circa 44 milioni, 18 milioni in piu' di 9 anni prima. In media, ogni iscritto costa oggi 125,5 dollari al mese. Presentando il budget, Mulvaney ha detto retoricamente ai giornalisti: “Questi dati sollevano una domanda molto valida: c'e' forse della gente, oggi iscritta al programma, che non dovrebbe esserci?”. La risposta di Trump e' “si'”, e intende porvi rimedio. La prima idea e' che gli adulti senza figli piccoli lavorino, accettando la prima offerta, per pagarsi lo SNAP. La seconda e' che gli Stati siano chiamati a contribuire almeno una parte dei costi, rendendo quindi i governatori e i parlamenti locali responsabili di questa voce di bilancio che adesso e' a intero carico federale. In 10 anni, questa cura dimagrante produrra' risparmi per 193 miliardi.   Ma Trump non si limita a voler ridurre lo SNAP nella dieta finanziaria del Paese. Il suo budget, che mantiene invariate le spese per i due programmi assistenziali piu' popolari, la Social Security (Inps americana) e la Medicare (mutua sanitaria per chi ha oltre 65 anni o e' invalido), prevede 800 miliardi di tagli alla Medicaid, la mutua per i poveri che e' parte della riforma di Obamacare. Anche per questa voce, gli Stati saranno chiamati a gestire i costi e quindi diventeranno piu' responsabili agli occhi degli elettori e saranno motivati a gestire con piu' efficacia ed efficienza i fondi. Altri tagli verranno dalla riduzione dei prestiti agli studenti (143 miliardi) e dai sussidi ai contadini (38 miliardi). In totale il taglio delle spese e' di 4500 miliardi, e alla cifra di 3600 miliardi, citata all'inizio, si arriva con l'incremento di reddito per lo Stato pari a circa 1000 miliardi. Queste entrate saranno generate dalla crescita economica del paese, ipotizzata al 3% annuo grazie ai tagli delle tasse, che saranno a loro volta piu' facilmente approvabili in Congresso in conseguenza del budget risparmioso di Trump. Quando si mette nello stesso calderone il populismo pro welfare all'italiana – che abbraccia destra, sinistra e 5 stelle – e il populismo elettorale del miliardario leader del GOP si fa violenza alla realta'. Bisogna essere piu' seri e specifici. Per Trump “America First” vuol dire pure “American Taxpayer First”, come ha dichiarato lo stesso Mulvaney: la protezione dei contribuenti che va di pari passo con quella dei lavoratori e delle produzioni domestiche. Per i repubblicani USA che oggi controllano la Casa Bianca e il Congresso, almeno a livello di principi e di volonta', e nell'attesa di capire se riusciranno a produrre i relativi successi legislativi concreti, non conta solo da difesa dei confini contro gli immigrati irregolari e i profughi incontrollati,  e contro le infiltrazioni terroristiche. C'e' in primo piano un'attenzione ai conti pubblici e un rispetto per chi paga le tasse che non ha imitatori in Italia. di Glauco Maggi @glaucomaggi

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