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Presidenziali 2010, l'ex vice di Obama Joe Biden favorito tra i dem per sfidare Donald Trump

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Il primo sondaggio tra i votanti democratici, condotto da Morning Consult/Politico dopo il voto di medio termine del 6 novembre, ha resuscitato Joe Biden, e confermato Bernie Sanders come l'eterno secondo. L'ex vicepresidente di Obama, messo nel 2016 in un angolo dal suo stesso boss che gli preferì la Clinton, e' ora in testa nelle preferenze dei DEM con il 26%, seguito dal senatore socialista del Vermont con il 19%. Nel giorno del voto nel novembre 2020, il primo avra' 77 anni ed il secondo 79. Se si considera che nella trentina abbondante di nomi potenziali offerti dai sondaggisti non ci sono Hillary (73 anni nel 2020), che sta seriamente meditando l'ennesimo ritorno, e l'ex segretario di Stato John Kerry (77 anni nel 2020), pure lui ibernato ma pronto a scongelarsi, sembra proprio che tra i Democratici l'attrazione per l'usato (in)sicuro giochera' una parte rilevante nella selezione del candidato da opporre a Trump (74 anni nel 2020), se il suo nome sara' sulla scheda. Il senatore dell'Arizona uscente Jeff Flake, repubblicano Never Trump, ha infatti avanzato giorni fa la prospettiva che qualcuno potrebbe, anzi dovrebbe, sfidare Donald costringendolo a fare le primarie nel GOP. Flake non ha escluso di poter essere lui, ma ha pure aggiunto i nomi del senatore Ben Sasse del Nebraska e dell'ex governatore dell'Ohio John Kasich tra i dirigenti repubblicani che non hanno mai digerito il voto del 2016 e covano il ribaltone. Mentre le primarie del GOP non sono realisticamente all'orizzonte, se non nel caso che Mueller provi che Trump ha colluso con Putin e lo incrimini, la bagarre in casa DEM e' una certezza. Gli aspiranti sono oltre il doppio di quanti (17) si sfidarono nel GOP nel 2015-2016. Seguendo il modello che porto' Trump alla vittoria si puo' anticipare che diventera' decisivo per tutti quelli in corsa conquistarsi presto un nocciolo duro di fans, mettersi alla testa del gruppo, e avvantaggiarsi della dispersione che si potra' creare se i candidati in seconda e terza fila terranno duro per mesi e si spartiranno i voti. Si ricordera' che a Trump basto' assicurarsi nei primi mesi delle primarie un contingente di fedelissimi tra il 20 e il 30 per cento per piazzarsi nei primissimi posti, gonfiare la sua visibilita', e costringere gli altri a guerre fratricide senza raggiungerlo. Il fatto e' che Trump gia' partiva con il vantaggio di un appeal nazionale esterno alla politica tradizionale, e la sua lotta contro il branco dei politicanti professionali era paradossalmente credibile proprio per questa sua estraneita'. Tra i DEM, i nomi che vantano riconoscibilita' nazionale sono sempre quelli del palazzo della politica, e cio' spiega perche' solo due “veterani” come Biden e Sanders abbiano avuto consensi a due cifre nel primo confronto. Nel lotto DEM ci sono solo due volti nuovi che potrebbero giocare la carta della sorpresa. Uno e' il deputato texano Beto O'Rourke, l'ispanico che pur avendo perso la sfida con Ted Cruz per soffiargli il seggio da senatore in Texas e' stato tanto pompato dai media a livello nazionale da generare il sogno di un nuovo mito tra i liberal: chi ha visto in lui un redivivo JF Kennedy, chi l'erede naturale di Barack Obama. L'8% di consensi, che l'ha piazzato sorprendentemente terzo nel sondaggio Morning Consult-Politico, e' quindi un buon trampolino. L'altro personaggio che ha, sul piano della fama personale, le carte in regola per competere contro Trump e' la sua nemesi newyorkese Mike Bloomberg: ha lo stesso ego di Donald, se non di piu'; e' piu' miliardario di lui; politicamente, ha cambiato partito con una spregiudicatezza superiore a quella di Trump pur di fare il sindaco di New York. Il suo handicap e' il vento ideologico che, dopo Obama, sta spingendo i DEM sempre piu' sinistra. Va bene l'eclettismo, ma Bloomberg non puo' fare, anche se lo volesse, come una Hillary qualunque, passata da liberal a moderata e infine a quasi socialista per cercare di restare in sella. Bloomberg puo' diventare il vero “nuovo” tra i DEM, ma solo se si presenta come un centrista capace di convincere anche molti repubblicani e indipendenti a mandarlo alla Casa Bianca. La scalata dei consensi tra i DEM delle primarie e' pero' impervia per uno come lui, al limite dell'impossibile. Detto questo, un segnale incoraggiante e' emerso dal sondaggio. Dietro a Beto, in fila indiana (senza ironia) si sono piazzati i tre senatori Elizabeth Warren (Massachusetts) con il 5%, Kamala Harris (California) con il 4% e Cory Booker (New Jersey) con il 3%. Ma questi sono tutti nomi noti che hanno sgomitato nelle cronache degli ultimi mesi in Senato per chi si opponeva con piu' ferocia alla conferma del giudice Brett Kavanaugh, e che dal 2016 sono aspiranti dichiarati alla nomination. Al 2% c'e' Bloomberg, da solo, che si lascia alle spalle, con l'1% e anche meno, la palude dei candidati residui. A meno di miracoli, e' tutta gente che ha gia' perso la corsa prima del via: dalla senatrice Kirsten Gillibrand all'ex ministro della giustizia Eric Holder, dal governatore di New York Andrew Cuomo all'avvocato di Stormy Daniels Mike Avenatti e alla residua ventina di altri illusi. di Glauco Maggi

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