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Bertinotti: ma quale governo, serve la rivolta

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La questione non è affatto banale: può la sinistra, con la Bce che detta la politica economica nazionale e la crisi che impone tagli alla spesa, accettare una responsabilità di governo o anche solo fare politica nei partiti? Secondo Fausto Bertinotti, no. L'unica prospettiva, sostiene l'ex leader di Rifondazione comunista, è la «rivolta». Rifiutare il compromesso della rappresentanza, rigettare i diktat della Bce e stare fuori dal «recinto». Insomma, un ritorno al 1998, quando, facendo cadere il primo governo Prodi, Bertinotti teorizzò l'impossibilità, per la sinistra, di stare al governo e nei palazzi. Dopo aver riportato il suo partito al governo nel 2006 e dopo aver ricoperto uno dei massimi incarichi istituzionali, la presidenza della Camera, torna all'inizio: dentro il Palazzo non si può stare. L'ex presidente della Camera ne parla in un lungo saggio pubblicato nella rivista ”Alternative per il Socialismo”. Parte dalla crisi economica, che ha messo in discussione «un'intera costruzione di diritti, libertà, giustizia sociale». Questa condizione, spiega, sommata a una politica economica decisa dai banchieri europei, crea un confine che va superato. «Dentro il recinto niente più». La ricetta è la «rivolta». Quella che si è vista nel Nord Africa, ma anche in Spagna o a Londra. «Il vento di rivolta è il fatto nuovo di questa fase». E la sinistra deve cavalcare questo vento. Lasciando perdere ambizioni di governo. Intanto ieri a Roma, durante la commemorazione di Walter Rossi, lo studente di Lotta continua ucciso a Roma 34 anni fa, sono ritornate le bandiere rosse, vicesindaco e un assessore sono stati cacciati. Scintille di rivolta? Vero è che la svolta bertinottiana ha gettato nel panico soprattutto Sinistra e Libertà, che da due anni si prepara a tornare al governo. Bertinotti è pur sempre il padre spirituale di Nichi Vendola e di tutti gli altri. Gennaro Migliore, uno dei fedelissimi del leader di Sel, parla a Libero di «analisi interessante e che in parte condivido. Ma noi», aggiunge, «pensiamo che proprio per fare quello che dice lui bisogna tornare al governo». Per Alfonso Gianni, «ci sono spunti corretti, anche se Fausto sottovaluta la possibilità di un cambio del quadro europeo». Se Merkel e Sarkozy perdono le elezioni, tutto potrebbe cambiare. Fatto sta che la tesi bertinottiana ha colto un problema che sta dilaniando la sinistra. E soprattutto Sel. Chiunque il prossimo giro sarà al governo non potrà non fare quello che chiede la Bce. Pena uscire dall'euro. Ma farlo, significa tradire l'essere di sinistra. Non a caso ieri Vendola si è riunito con una cinquantina di economisti per un seminario a porte chiuse all'ex Hotel Bologna. Se Sel vive un dilemma - vuole tornare al governo, ma vede i rischi di questa ipotesi, tanto più se prima delle elezioni ci sarà un esecutivo di larghe intese  - a sinistra di Sel il dilemma è risolto e ci si prepara a riempire uno spazio. Giorgio Cremaschi, ex leader della Fiom, oggi all'Ambra Iovinelli lancerà un'iniziativa (“Non paghiamo il debito”) che teorizza la «rivolta» (vedi Bertinotti) ai dettami europei. È l'embrione di un movimento che punta a creare un quarto polo di sinistra antagonista e anti-governativa. La svolta di Bertinotti, peraltro anche lui ex sindacalista, gli dà una mano. Vuoi vedere che i due ex si ritroveranno? Intanto oggi si vedranno tutte e due le sinistre ex comuniste: di mattina quella di Cremaschi, di pomeriggio quella di Vendola e Di Pietro che saranno a Piazza Navona dietro lo slogan “Ora tocca a noi”.

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