«La Dc sturziana, di Rumor, quella democrazia cristiana che ha costruito l’Italia era il modo più bello e più limpido di fare la politica. Ecco, quella storia di quella Dc è un programma da sposare...». Mutazione genetica d’un padano felice. Alle 19.32 di ieri, mentre davanti alla facciata di palazzo Barbieri garriscono assieme il tricolore, la bandiera scaligera e il leone di San Marco, nelle viscere dello stesso municipio di Verona, pazientemente rosolato dai cronisti e sballottato tra pacche sulle spalle e fazzoletti smeraldo, Flavio Tosi è sindaco uscente e rientrante della città. E ha uno sbuffo di nostalgia per una politica vintage. Che è anche, sotto sotto, una dichiarazione programmatica: la rinascita dal Veneto di una Lega mutatasi geneticamente in una sorta di Dc buona che abbraccia e rivitalizza tutto il centrodestra. Tosi il bulgaro ha vinto col 57, 4% dei consensi, davanti al Pd Michele Bertucco col 22,7%, il grillino bancario Gianni Benciolini - la vera sorpresa - col 9,2%, e il pidiellino Luigi Castelletti - l’autentico sconfitto - col 8,8%. La sua vittoria dedicata alla nipotina appena nata e «tutti i cittadini per i quali abbiamo lavorato duramente in questi cinque anni» era praticamente scontata. Tosi è stato caterpillar delle coscienze civiche, stratega di popolo, asfaltatore dei giochi elettorali dei partiti. Al momento in cui scriviamo lo spoglio non è ancora definitivo. Ma le sue sette liste d’appoggio («senza di loro sarebbe stato tutto più difficile», dice il sindaco che rischiava l’epurazione per il «nome sopra il titolo», come si diceva delle star sui cartelloni cinematografici) col 37, 7% hanno distrutto il Pdl sceso al 5,35%; e hanno piallato il Terzo polo; e hanno sostenuto quel che rimane della Lega al 10%; e hanno, infine, attutito l’urto dell’antipolitica identificatosi con la calata del Movimento 5 Stelle e quello dell’astensionismo che supera il 30%. Tosi ha sempre la stessa espressione pietrosa da vent’anni, quindi non si capisce se è contento. Ma presumiamo di sì. Ha vinto contro tutti: contro i suoi ex Pdl ed ex An in giunta che a Verona hanno tentato di tradirlo; contro la Lega stessa del cerchio Magico - e in tempi non sospetti -; contro i “poteri forti” che, a detta dei sostenitori, gli hanno scagliato contro cattiva stampa e l’ologramma di una vecchia politica come candidato, il Castelletti. Tosi è soprattutto, in Italia, l’unico di centrodestra che vince inglobando 16 consiglieri - e 5 assessori - berlusconiani, cioè una «squadra di amici» transfughi dalla linea tafazziana dei coordinatori Pdl locali, i geniali fratelli Giorgetti. I quali, peraltro, dato il plebiscito del sindaco, adesso rischiano di essere impalati sul Liston de la Brà, come i turchi facevano con gli apostati: «Non so se il Pdl si vuole ancora riconoscere in chi ha sbagliato tutto...». Questo è l’unico accenno di vendetta che sibila dalla bocca del primo cittadino, ma si vede ad occhio nudo che non farà prigionieri. Tosi ha pensieri fluidi : «Ora mi candido alla guida della Lega veneta, abbiamo un anno di tempo anche a livello nazionale. Il futuro della Lega dovrà essere quello di un partito pratico, coerente, legato al territorio , senza populismi, in grado di allearsi -non prima, semmai dopo - con chiunque ci assicuri stavolta modi e tempi di realizzazione dell’autentico federalismo che Monti, con le sue tasse ci ha fatto dimenticare...». Il sindaco detta il ritmo a sé stesso mentre sale un calesse che lo fa girare, rullando sorrisi, dall’Arena a piazza Erbe dove l’attende il popolo festoso. Ci ricorda un po’ Ben Hur nella scena delle bighe. Ma al di là del folklore, in controluce s’intravvede un cambio di passo della politica, «il risultato di Tosi, in queste condizioni vale doppio», ridacchia Maroni, il primo a congratularsi (Bossi non ha chiamato, Calderoli forse, Zaia non si sa). Prima Verona, poi il Veneto, poi un ruolo importante nella nuova Lega che federalmente dovrà stagliare Maroni al sol dell’avvenire («Io voterò per lui, mi auguro che Bossi si ritiri, farebbe un danno a sé stesso»), poi, forse, il futuro stesso del centrodestra: questo è il programma dell’homo novus del centrodestra. Un tantinello faticoso certo, ma plausibile. Tosi, a Verona, si prende il partito e l’immerge nel lavacro della stima perduta della gente, che qui ha votato prima l’uomo e soltanto dopo il movimento. Tosi, giusto per stare sul sicuro solo pochi mesi prima dell’elezione era riuscito a sbloccare le “grandi opere” territoriali: il traforo delle Torricelle, il filobus, i parchi cittadini davanti alla Fiera, il parcheggio all’ex gasometro. Roba che, alle orecchie di un non veronese suona vuota; ma per i concittadini è manna, in un periodo in cui lo Stato ti affama e il partito si sfama. In realtà Tosi è il solo tra i politici a giudicare i grillini «un’espressione di protesta, certamente ma pure brave persone animate da spirito di servizio civico»; ed è l’unico a mantenersi, pur nutrendo un solido spoil system, al di fuori del recinto delle alleanze ciniche e dei veti incrociati. Insomma, il “laboratorio Verona” , ovvero l’istituzione intesa come servizio, la ripartenza dal basso, potrebbe essere davvero la chiave per la palingenesi dei partiti. A Tosi, paradossalmente, il Veneto potrebbe davvero stare stretto. Parla - richiesto - di politica nazionale e nodi da sbrogliare a livello istituzionale: il ruolo di Alfano oltre il Berlusca, il voto necessario ma non troppo dei cattolici, la gente schifata da certi tesorieri della Lega, la legge elettorale da riformare «perché è sbagliato che il cittadino non possa scegliere; se la tocchi male si accorge che lo prendi in giro e te la fa pagare». Perfino, annuncia, la «possibilità di ricucire in futuro col Pdl, con la parte buona che lavora senza gettare fango sugli altri, ché sennò tanto la gente poi se ne accorge e ti punisce...». Ecco, questo Tosi ha sempre “la gente” in bocca, come Don Sturzo, come Berlusconi nel ’94, come Funari quando non capiva il sistema e se vantava. Al di là del risultato d’oggi - ci scommettiamo - ne sentiremo sempre più parlare... di Francesco Specchia