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Annamaria Franzoni parla a Libero: "Andrò via dall'Italia"

Alessandra Menzani
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«Appena sarò libera me ne andrò a vivere lontano, all'estero. Sarà la prima cosa che farò, qui non ci voglio più stare. E non voglio parlare con nessuno. Non per essere scortese, ma è dal 2006 che resto in silenzio, che non rilascio interviste: voglio essere dimenticata». Annamaria Franzoni sfodera una smorfia da cui traspare un mix di ironia e rassegnazione, mentre si sistema la maglia di lana beige tirandola lungo i suoi fianchi. A 12 anni dall' avvio del processo d' Appello a Torino, e pochi giorni dopo il compleanno del piccolo Samuele che domenica 12 novembre, avrebbe compiuto 19 anni, la "mamma di Cogne", oggi 46enne, conta ormai i giorni che la separano dalla data di fine pena fissata a luglio 2019. Il suo giardino di via Borgo Vecchio al civico 5 a Ripoli Santa Cristina è ancora colorato di fiori e di piante verdi nonostante l' autunno. Qui Annamaria, casalinga, vive con i figli Davide di 22 e Gioele di 14 anni, nati ad Aosta. Il più piccolo è stato partorito un anno dopo la morte di Samuele. Al suo fianco, da sempre, pronto a proteggerla, c' è il marito Stefano Lorenzi, perito elettronico e dedito ora alle energie alternative. Entrambi di origine bolognese, si erano trasferiti a Cogne nel 1993 dove si erano conosciuti. Isolamento - Sul volto della "mamma di Cogne" oggi nemmeno una ruga, gli occhi vispi e attenti. Il sole illumina qualche ciocca, esaltando i riflessi dei suoi capelli castani. Le sue curve più evidenti per qualche chilo aggiunto sulla bilancia. Sembra un' altra donna rispetto a quella che per anni è apparsa nelle diverse interviste in tivù dividendo l' opinione pubblica tra innocentisti e colpevolisti. Su di lei sono stati scritte centinaia di pagine di giornali e anche libri. Del resto quello di Cogne fu un delitto orrendo, un giallo che nel giro di poco portò ad un unico imputato: la madre del piccolino, che si è sempre dichiarata innocente. Un caso mediatico tra i più controversi della recente storia d' Italia, e sul quale undici anni fa la stessa protagonista ha deciso di spegnere definitivamente i riflettori. «Ogni volta che appare il mio nome in pubblico, fa discutere. Per questo ho scelto di non parlare più». Dimenticare premendo il tasto "pausa" è quello che sta cercando di fare Annamaria, sorretta da un nucleo familiare che, confida, «è stato la mia forza, anche perché, nonostante i tanti problemi, siamo rimasti uniti e ci vogliamo bene. E chi mi conosce bene lo sa, sa chi sono e come sono fatta». Il suo nome resta però l' unico legato all' omicidio di Cogne, l' efferato delitto che quindici anni fa ha sconvolto l' Italia. Era la mattina del 30 gennaio 2002 quando Samuele, il figlioletto di Annamaria, di appena tre anni e 128 giorni, fu ucciso nel lettone della villetta di legno e pietra dei Lorenzi a Cogne, in Val d' Aosta. Il piccolo aveva il cranio fracassato. La Franzoni telefonò al 118 dicendo che suo figlio stava vomitando sangue. I medici arrivarono e trovarono Samuele con numerose ferite alla testa e alle mani; meno di due ore più tardi il bimbo era morto. Sei anni dopo, al termine di battaglie di periti e avvocati nei tribunali, la madre fu condannata in via definitiva per omicidio. Secondo la sentenza aveva ucciso suo figlio colpendolo alla testa per diciassette volte con un oggetto, che non è mai stato ritrovato. Dall'atroce delitto nello chalet di Montroz a Cogne, lo stesso che i giudici le hanno impedito di raggiungere, alla nuova vita nella casetta di Ripoli Santa Cristina: un piccolo cancello in ferro la separa dal borghetto fatto di poche case sparse tra salite e discese. Quello che ancora viene spesso aperto e chiuso dai carabinieri, chiamati a controllare la sua permanenza ai domiciliari. Annamaria nel giugno 2014 ha lasciato il carcere bolognese della Dozza dopo sei anni di reclusione, per scontare qui il suo ultimo pezzo di pena. Il Tribunale di Sorveglianza,sulla base di una perizia psichiatrica positiva, ha escluso il pericolo di recidiva di figlicidio per la donna, concedendole appunto i domiciliari. Da allora vive nel paesino di collina nell' Appennino bolognese che conta una cinquantina di anime e dove il tempo scorre al rallentatore. Un Cogne bis, in formato più piccolo: c' è un Santuario chiuso, una chiesina dove il sacerdote a fine messa si chiude a riccio alla parola "giornalista" e dice subito deciso: «Mi spiace, non dico una parola sulla Franzoni, non insista». Il paese sta con lei - C' è un' unica bottega per tutti gli abitanti, dove si vendono sigarette, giornali, generi alimentari di ogni specie, detersivi, carne e pane. C' è persino un angolo allestito con uno scaffale-biblioteca, dove i residenti portano libri per scambiarli tra loro gratuitamente. Ci s' ingegna insomma per vincere l' isolamento. «Per tutto il resto bisogna andare nei paesi vicini come San Benedetto Val di Sambro oppure Pian del Voglio», ci spiega sorridendo la simpatica titolare Anna, che un anno fa ha investito su questa avventura commerciale consapevole di essere quasi emarginata dal mondo. E aggiunge: «Qui funziona così, sa? Non c' è nulla e ci si adegua. La Franzoni? Sì certo, viene qui anche lei ogni tanto a fare la spesa come fanno tutte le altre donne. Compra la pasta, il riso, le cose che le servono insomma. Per noi è una mamma come le altre. Che abbia ucciso oppure no - è sempre una madre che deve fare i conti con la morte di un figlio». È un pensiero comune degli abitanti di Ripoli, per lo più innocentisti, diventati allergici ai giornalisti, e che le fanno quadrato per proteggerla. Voci sussurrate, sorrisi accennati: «Per noi resta una brava ragazza. È giusto che possa vivere accanto ai suoi figli». La stessa Annamaria non si è mai stancata di ripetere che «prima o poi l' assassino verrà individuato». Nel 2004 i coniugi Lorenzi accusarono del delitto di Cogne un vicino di casa, Ulisse Guichardaz, che nel 2011 costò in primo grado una condanna a sedici mesi per calunnia, reato poi prescritto. Nel febbraio 2017 si è interrotto il silenzio calato sulla Franzoni, dopo una sentenza del Tribunale civile di Bologna, dove Annamaria è stata condannata a risarcire il prof. Carlo Taormina per un mancato compenso di 275mila euro. La cifra riguarda la parcella mai percepita per averla difesa nel processo. Sommata all' Iva e agli interessi e cassa previdenza avvocati, la somma complessiva dovuta lievita attorno ai 400mila euro. Le preghiere - Oggi la mamma di Cogne trascorre le sue giornate occupandosi della famiglia e va a pregare sulla tomba di suo figlio Samuele. Il figlio che per la giustizia italiana avrebbe ucciso. In primo grado era stata condannata a 30 anni (divenuti 24 per la scelta del rito abbreviato), 16 in Appello ridotti poi a 13 dall' indulto, confermati dalla Cassazione nel 2008, sentenza che le ha aperto le porte del carcere dove è rimasta 6 anni e un mese, e durante i quali ha beneficiato per un periodo di un lavoro esterno. «Ho una bella famiglia che mi ha aiutata - dice Annamaria - per questo voglio proteggerla col silenzio». E quando le diciamo che la troviamo più distesa rispetto al passato, lei ci risponde con un sorriso gentile ma decisa: «Sono sempre stata serena, sempre». di Simona Pletto

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