Bebe Vio vince l'Oscar dello Sport e fa piangere tutti / Guarda
Quando la incontriamo Bebe (Vio) non lo sa ancora, ma sta per vincere (con standing ovation) ai Laureus Awards - ovvero gli Oscar dello sport - nella categoria «Sportiva dell' anno con disabilità». Noi ovviamente facciamo finta di nulla. Bebe, "l' importante è partecipare", come diceva un tale francese, o batterli tutti? «Vincere, che discorsi. Poi certo, qui siamo in tanti per cui già esserci è un successo». Eh no, da te non ce l' aspettiamo una frase fatta così... «Oh ma hai visto che atleti ci sono? Io sono l' ultima arrivata! Non ho neanche 20 anni». Ormai sarai anche abituata alle sorprese: il selfie con Obama, i premi... Corri il rischio di montarti la testa. «Ma va', odio chi cambia in base ai successi. Se lo facessi odierei me stessa e non me lo posso permettere». Però ormai sei un esempio. Dicono "che coraggio Bebe Vio". Ti pesa questa "responsabilità"? «No, anzi. Mi scrivono in tanti, in qualche modo sono obbligata a essere un esempio e questa cosa serve soprattutto a me per crescere». Ci sono una marea di tuoi coetanei tristi e insoddisfatti, tu sembri sempre felice. Possibile? «Sembro? Lo sono! I "tristi per forza" mi fanno arrabbiare, si buttano sul divano, si arrendono in partenza. A volte però non è colpa loro, ci sono padri e madri che obbligano i figli a seguire percorsi diversi da quelli che hanno in testa e così li mortificano. Io volevo fare la grafica e ho sempre adorato la scherma: faccio entrambe le cose, meglio di così... ». Lavori? «Ho fatto la maturità prima delle Paralimpiadi, da poco ho iniziato a lavorare: sono in stage presso "Fabrica", il centro di ricerca sulla comunicazione del gruppo Benetton». Chissà che fatica per mamma e papà starti dietro. «Veramente vivo da sola a Treviso. Anzi, con un coinquilino... ». A proposito? L' amore? «Sono fatti miei... ». Giornata tipo? «Eh, magari ne avessi una: sono passata dai Giochi alla Casa Bianca e ora sono qua ai Laureus. Ogni giorno una sorpresa. Ma tanto non vinco... ». Hai detto Casa Bianca: procediamo col domandone. Ti faresti un selfie con Trump? «Più che altro con lui ci parlerei, anche se dubito mi farebbe entrare, sai com' è... ». Hai sempre detto che ti piacciono le tue cicatrici: cosa pensi della marea di ragazze che si rifanno tette, naso, zigomi ecc ecc? «Ne ho vista prima una a pranzo e ho provato imbarazzo. Ho pensato "che brutto deve essere non piacersi". Oddio, a dir la verità anche io sono rifatta al 50%, sono abbastanza "finta" e porto pure gli occhiali, ma in ogni caso mi piaccio molto. Detto ciò, se una non riesce a star bene con se stessa è giusto che faccia quello che vuole». Hai posato per Vanity, Wired... Praticamente ormai fai anche la modella. «Sono un disastro sul set, mi viene sempre da ridere. Io nelle foto "devo" ridere, in quelle dove sono seria se guardi bene si capisce che sto per esplodere in una risata». «Disabile», «amputata», «handicappata»: ti danno fastidio certi termini? «Nessun termine è fastidioso, dipende da chi lo dice e come lo dice». I tuoi hanno fondato una Onlus (Art4sport): ci spieghi chi aiutate? «Gli amputati. Li aiutiamo a fare sport, ma non donando denaro, proprio fornendo gli arti. Si possono fare tutte le discipline, ma le spese sono incredibili: le protesi si rompono, vanno cambiate a seconda della crescita. Dopo la malattia riprendere non è facile sotto tutti i punti di vista. I miei mi hanno detto "se vuoi fare una cosa, semplicemente, falla". E ho ripreso subito con la scherma». E hai vinto le Paralimpiadi! E che urlo! Sembravi Tardelli... «Me l' hanno detto in tanti». Più bello il tuo urlo o il suo? «Mah, non saprei. Il mio è durato di più... ». Dopo il selfie hai risentito Obama in qualche modo? Una telefonata, un sms... (Ride) «No, guarda, un cafone... ». di Fabrizio Biasin inviato a Montecarlo Twitter @FBiasin