Vittorio Feltri vede questa foto e non riesce a trattenersi: la furia del direttore
Sfoglio come sempre il Corriere della Sera e quando arrivo all'ultima pagina, la numero sessanta, trasalisco. Mi viene un colpo apoplettico. Vi è riprodotta la fotografia immensa di un signore di pelle nera, seduto su una bella sedia davanti a una libreria che, almeno a prima vista, è promettente. Guardo meglio per capire di cosa si tratta e scopro con stupore che è la pubblicità di Gucci, un marchio importante, tra i più apprezzati del nostro Paese rinomato per la moda, fonte inesauribile di reddito. Già. Se il made in Italy è una risorsa nazionale, occorre riconoscere che la casa fiorentina è stata tra le prime a imporsi nel mondo grazie a prodotti di alto livello, ambiti da chiunque abbia buon gusto e mezzi per acquistarli. Ma questa pagina, che intende propagandarli, e perpetuarne il successo internazionale, è un suicidio. Una immagine disgustosa, repellente che suppongo allontanerà dai negozi Gucci, sparpagliati ovunque, qualsiasi cliente. Il problema non è certo il fatto che l' individuo ritratto sia nero. Chi se ne frega se il messaggero scelto dal fotografo è un africano o un afroamericano. Se anche fossimo razzisti, fingeremmo di non esserlo per non incorrere nella sanzioni di legge e nei provvedimenti disciplinari dell' Ordine dei giornalisti. Ciò che impressiona è altro: l' orrendo abbigliamento inflitto all' uomo utilizzato quale indossatore, offendendolo. Vi prego, cari lettori, di osservare l' istantanea e di esaminare non tanto il volto del suddetto signore quanto il vestito che costui sfoggia con malcelato orgoglio. Un completo, giacca e pantaloni, a quadri di colori azzardati: blu e verde, che sortiscono un effetto cromatico censurabile. Camicia bianca e cravatta a righe, in cui spicca la tinta arancione. Un pugno nell' occhio. Le calze poi sono rivoltanti: rosa pesco. Un autentico vomitivo. Le scarpe infine sono comiche. Sembrano quelle di un prete gay ottocentesco. L' insieme è ributtante, aggravato da anelli enormi che l' uomo esibisce sulla mano destra quasi che egli fosse il capo di una tribù del centro Katanga, denominata vacaputanga, come recita una canzone nota negli anni Settanta. Ora ci domandiamo: chi ha avuto l' idea di proporre questo quadretto diffuso poi sul più grande quotidiano italiano quale veicolo pubblicitario, orientato a sedurre, nelle intenzioni della maison modaiola, la spettabile committenza? Deve essere un masochista, uno che anziché invogliare la gente a comprare gli oggetti firmati Gucci, fa di tutto per respingerla e indirizzarla presso i concorrenti del settore. Oppure, ed è più probabile, la scelta dell' uomo nero e del costume di cui questi è dotato, risponde all' esigenza di piacere a coloro che predicano con passione l' accoglienza, l' integrazione, l' ospitalità. Nel caso, la moda avrebbe rinunciato all' estetica e si sarebbe buttata sull' etica stracciona del buonismo progressista che predilige l' immigrazione selvaggia. Basta dirlo. Eliminiamo Gucci dal guardaroba. di Vittorio Feltri