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Uno juventino a sorpresa: "Meno male che esiste Zeman". Il commento

Mughini e Zeman

L'elogio della coerenza di un uomo che va oltre i confini del calcio

Andrea Tempestini
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Il mondo sarebbe noiosissimo se per ogni argomento e in ogni circostanza lo si dovesse spaccare in due con un colpo d'ascia, a separare i bianchi che stanno tutti eguali e compatti da una parte e i neri dall'altra. In questo caso sto parlando di calcio, e si tratta di un personaggio la cui risonanza massmediatica va oltre i confini del calcio strettamente inteso.  Sto parlando della nenia che ricorre in questi giorni frequentissima sui giornali e in tutti i bar dello sport dello stivale, ossia che una mortale inimicizia contrapponga Zdenek Zeman, l'attuale allenatore di una Roma che domenica prossima affronterà l'Inter a San Siro, ai tifosi a milioni della “fidanzata d'Italia”, la Juve. Una contrapposizione effettivamente alimentata dalle battute e battutacce che i due contendenti si lanciano in volto ogni giorno prima e dopo i pasti. Il più raffinato dei nostri cantautori e tifoso entusiasta della Roma, Francesco De Gregori, qualche giorno fa mi ha rimproverato per avere io scritto su Libero che Zeman è tanto «un grande allenatore» quanto «un impareggiabile cabarettista» tutte le volte che punge la Juve e ne sparla. Può darsi che io mi fossi espresso con un eccesso di sintesi. Ebbene voglio rassicurare Francesco: io sono un grande ammiratore di Zeman, e dell'allenatore e del personaggio letterario che incarna. Reputo Zeman niente affatto un nemico della Juve, argomento miserevole, buono per i palati dei babbei e bensì una risorsa del calcio italiano e del suo spettacolo. Se è vero che nella sua carriera il peso del piatto della bilancia su cui stanno le sconfitte e gli esoneri supera quello del piatto dove stanno le partite vinte trionfalmente e i tornei dove Zeman ha portato molto in alto squadre tecnicamente medie, se è vero che qualcuno lo definisce “un perdente” di lusso, tutto questo semmai me lo rende più speciale, perché è dalla parte dei “perdenti” che mi sono sempre schierato. Non a caso parlavo di un personaggio letterario. Ne ha tutte le stimmate. Parole poche e aguzze quando lo intervistano, un orgoglio smisurato del proprio lavoro, tenace nelle sue virtù e nei suoi errori (i suoi attacchi fanno sempre una caterva di gol, le sue difese ne incassano altrettanti), quella sua superba gestione dei silenzi e degli ammiccamenti che nei siparietti televisivi dicono più di cento parole. Il mondo del calcio sarebbe infinitamente più povero e più banale non ci fosse uno come Zeman, di cui non ricordo chi scrisse che era assieme «un boemo e un bohémien». Crepi il lupo, mister Zeman, quando domenica prossima avrà di fronte i nerazzurri dell'Inter, quella strana squadra che ha vinto un quindicesimo e sedicesimo scudetto senza però avere mai vinto il quattordicesimo. E per quel che è degli scontri della mia amata Juve con qualcuna delle squadre da lei guidate, ancora mi ricordo la lezione di gioco contenuta nel 4-0 con cui la sua Lazio ci fece a brandelli una lontana domenica del torneo 1994-1995. Non c'era disonore nel perdere con una squadra che in quel momento giocava un football stratosferico. E tanto più che alla fine del campionato lo scudetto arrise alla Juve. Ovvio che io non ami le volte che il boemo dice che gli scudetti conquistati sul campo dalla Juve non sono nemmeno 28, che lui li ha contati e che stentano a superare i 20. Quella è davvero una battutaccia, così come ci sono battute dei dirigenti della Juve nei confronti di Zeman che io non condivido, ad esempio quando il mio amico Marcello Lippi disse che nel parlare così tanto male del calcio italiano Zeman stava sputando sul piatto su cui mangiava. No, Zeman che è Zeman aveva tutto il diritto di dire quello che pensava. Meriti ed errori, lui ce l'ha scritta in faccia la storia del calcio italiano di questi ultimi anni, ultimo quel Pescara che lui ha preso per mano a fargli vincere trionfalmente il torneo di serie B. In fatto di fesserie pronunciate spudoratamente ne corrono sui giornali di ben altre. Ad esempio quel giornalista sportivo che lo fa di mestiere e che ha scritto sul Fatto che la Juve di Luciano Moggi ha taroccato ben 12 campionati uno di fila all'altro. Affermazioni che tolgono onore a chi le scrive. Ma non mescoliamo Zeman a queste miserie. Il teatro e la letteratura sono una cosa, la fogna un'altra. Crepi il lupo, mister Zeman. Chi ama il calcio è felice che lei sia tornato alla prima linea dopo il purgatorio di questi ultimi anni. Ero ospite nel Salento nella casa dell'allora presidente del Lecce il quale ci raccontava la telefonata con cui la congedò dalla panchina del Lecce, telefonata in cui lei disse una o due parole e sembrava davvero la fine di una carriera e di un destino. Per fortuna non è stato così. Auguri, mister Zeman, di rifilarne tanti altri di 4-0. Magari non necessariamente alla Juve. E comunque vinca il migliore. di Giampiero Mughini

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