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Il tribunale a quarant'anni di distanza

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Mattias Mainiero
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Egregio Dottor Mainiero, scrivo a lei perché, considerato l'argomento, è necessario che chi legge abbia intelligenza e senso dell'umorismo. Credo che lei abbia queste qualità. In un articolo di un giornale ho letto di un signore che, scandalizzato per tutti gli attacchi che vengono fatti alla magistratura, afferma che non è giusto, che la giustizia in Italia, con tutti i problemi che pure ci sono, funziona e di conseguenza è necessario avere fiducia e bla-bla-bla. Ora le chiedo: qual è la giustizia in una causa per un incidente con tanto di invalido permanente che arriva a undici anni e non si veda la fine? Quale è la giustizia nei processi per fallimenti, dove i falliti sono morti civili per anni senza speranza? Qual è la giustizia se si mettono in galera politici scomodi, senza prove? Quale giustizia è quella che prima arresta i presunti criminali e dopo anni li condanna su teoremi senza una prova concreta, non solo: ma dopo decine di anni si riparte dall'inizio perché alcune prove non sono state controllate, rovinando la vita delle persone? Quale giustizia è quella dove non c'è la separazione delle carriere e i giudici e i Pm fanno ciò che vogliono senza rispondere degli errori macroscopici forse in malafede? Potrei continuare, ma ho finito il mio senso dell'umorismo. Valdemara Giachetti Livorno Anche io, gentile signora: di fronte alla giustizia italiana il mio senso dell'umorismo è finito una quarantina di anni fa, quando, per la prima volta, misi piede in un tribunale italiano. Procedimento civile. Ero stato chiamato in qualità di testimone. Nulla di particolarmente impegnativo. Ma fu allora che il mio senso dell'umorismo crollò al suolo e venne sostituito dal senso di impotenza. Per la cronaca: credo che quel procedimento civile sia ancora in attesa di sentenza definitiva. E non credo che tutti i protagonisti di quella vicenda siano ancora vivi. Complimenti per la sua lettera.   [email protected]

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