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Quelli che odiano la ricchezza (altrui)

 Paperon de' Paperoni, l'emblema della ricchezza (e dell'altrui invidia)

Perché con l'operosità, il lavoro e i soldi (specie dei lombardi) si gioca al tiro al bersaglio

Francesco Specchia
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Il denaro. “Nella vita il denaro non è la cosa più importante, ma la sua mancanza ti impedisce di occuparti delle cose più importanti” dicono nell’America culla del capitalismo; risolvendo così, alla Trump, il dubbio se riattivare, oggi, il sistema produttivo. Lì la soluzione è: correre il rischio di riaprire e morire di Coronavirus è sempre meglio che non riaprire e morire di fame.

Oggi nell’Italia attraversata da un frisson di socialismo reale, è diverso.

Se la Lombardia annuncia di riaccendere il motore (gradatamente, all’insegna delle “4 d” distanza, dispositivi, digitalizzazione e diagnosi) a partire dall’edilizia, be’ ecco che si scatena l’inferno. Michele Serra sul giornale del milanese Carlo VerdelliRepubblica, prima disegna metafore letterarie per la patologica ansia lombarda del lavoro ad ogni costo, quella dei “magutt e degli industriali lillipuziani” e della gente che trasforma il welfare in business”; e poi si produce in una lieve marcia indietro ma ormai il danno è fatto. Saviano attacca su Le Monde la sanità lombarda ovviamente formigoniana. Avvenire evoca il pauperismo e le ricette peroniste del Papa per la nostra economia, anche se il Papa fa il Papa e -diciamo- non deve necessariamente far propri i principi liberisti della scuola di Chicago. E poi Galli Della Loggia sul Corriere della sera firma editoriali sulle diseguaglianze; anche se, ad onore del vero, per ripristinare l’equilibrio, su quelle stesse colonne Marco Imarisio parla dell’idiozia del “Coronavirus trattato come una nemesi dell’intraprendenza lombarda e del suo mito di produttività” e ammette che la Lombardia col suo 22-25% di contributo al Pil italiano cede al resto del Paese 25 miliardi all’anno. Ma non basta, la ricchezza, specie dell’operoso nord, resta un modo per incanalare i dissensi. Ed ecco, politicamente, la genialata, di marca squisitamente Pd: il Pil italiano si riduce del 3% (questo mese sarà del 13%), perdiamo 100 miliardi al mese, i meccanismi di copertura salariale non stanno funzionando? Bene, urge una patrimoniale di 1,3 miliardi di euro per gli 800mila contribuenti italiani che guadagnano oltre 80mila euro all’anno. Lordi. Una teoria bizzarra, gonfia di retorica, imbastita sullo slogan “anche i ricchi (ricchi, poi…) piangano” che prevede un incrementino dello 0,07% del Pil quando ora lo Stato è alla disperata ricerca di almeno 200 miliardi. Ma, soprattutto, l’idea della patrimoniale contraddice qualsiasi regola macroeconomica; e il concetto keynesiano secondo il quale, durante una recessione, le tasse non si aumentano semmai si riducono. Tra l’altro, per dire, la proposta viene da un partito che a livello nazionale ha accettato la “flat tax” per gli stranieri ricchi- pagano solo 100mila euro anche se guadagnano 3 milioni- ; e che, a livello regionale, proprio a Milano continua a far pagare agli esercizi commerciali le tasse per occupazione di suolo pubblico. Ma tant’è

in quest’attacco da più parti, a testa bassa, verso la ricchezza e l’ossessione del profitto sono evidenti le incongruenze.

In una sorta di revanscismo o di rivincita morale è come se il resto della nazione provasse un piacere sottile, nell’osservare la “locomotiva d’Italia”- la Lombardia- tossire e rallentare e la “Capitale morale” -Milano- fiaccarsi in ginocchio richiamando i tempi delle peste manzoniana. Epperò si vuole che i lombardi non abbandonino l’isolamento (il governatore De Luca minaccia di chiudere la Campania), ma da loro si pretende che continuino a pagare tasse e gabelle; li si vede come una zavorra del Paese, ma senza il loro moto operoso  e la loro generosità nessuna delle regioni colpite, negli anni, dalla catastrofi naturali si sarebbe rialzata, né il genio italiano nel fashion, nel food, nell’industria culturale e in quella pesante avrebbe potuto risplendere nel mondo. Domenico Cacopardo su Italia Oggi, in un’interessante analisi del censo ai tempi del Coronavirus, sintetizza questo strano fenomeno del tiro al lombardo nel “riflesso condizionato che impone a parte degli italiani di combattere la ricchezza non la povertà”. Ma c’è un’altra componente. L’invidia sociale. L’invidia sociale è fotografata dal rapporto Eurispes sulla situazione del Paese come “il vizio che blocca l’Italia. Siamo prigionieri di una ‘sindrome del Palio’ la cui regola principale è quella di impedire all’avversario di vincere, prima ancora di impegnarsi a vincere in prima persona”. Ecco, quasi ricorre il mantra che la Lombardia ricca, iperattiva, con una marcia in più e un po’ fighetta, in fondo, “se la sia cercata”. E’ uno slancio puramente masochistico: frutto, appunto, dell’invidia che è l’acido lattico dell’anima, un sentimento livido che maggiormente inquina l’aria nei momento di difficoltà. Lo so perché, da non lombardo, l’invidia per i lombardi l’ho provata anch’io. Per la ripartenza confido che questo popolo torni a rastrellare denaro, per tornare ad occuparsi delle cose importanti…

 

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