Paolo Becchi, una lezione per Conte su Fase 2 e lockdown: "La paura della peste distrusse Atene"
La grande lezione di Tucidide, che raccontò la peste che colpì Atene durante la guerra del Peloponneso, nel 430 a.C., è in fondo questa: più che la peste, a distruggere Atene fu la paura della peste. Gli uomini «sopraffatti dalla disgrazia e non sapendo quale sarebbe stata la loro sorte, cadevano nell' incuria del santo e del divino. Tutte le consuetudini che prima si seguivano nel celebrare gli uffici funebri furono sconvolte, e si seppelliva come ciascuno poteva. E molti usarono modi di sepoltura indecenti, per mancanza degli oggetti necessari, dato che numerosi erano i morti che li avevano preceduti: prevenendo chi elevava la pira, gli uni, posto il loro morto su una pira destinata a un altro, vi davano fuoco; altri, mentre un cadavere ardeva, vi gettavano sopra quello che stavano portando, e se ne andavano. Anche in altri ambiti il morbo dette inizio, in città, a numerosi infrazioni della legge».
"Ecco i grandi meriti accademici di Burioni". Becchi pubblica le carte: il flop del virologo-star
C' è qui qualcosa che ci ricorda quanto sta avvenendo in questi giorni: lo scoraggiamento, il panico, porta a trascurare il «compianto sui morenti», «persino dai familiari», a non dare più una sepoltura dignitosa ai morti e a dimenticare le leggi e i costumi che avevano, sino a quel momento, tenuto uniti i cittadini.
Facciamo un salto.
Nella filosofia politica moderna, la paura torna, e diventa centrale in Hobbes. La paura, nel suo sistema, è intesa anzitutto come paura della morte violenta per mano di un altro uomo. Per scongiurare questa paura è necessario lo Stato, a cui si deve obbedienza proprio perché ci protegge dalla morte violenta. La morte violenta è il summum malum, e - per citare un commentatore d' eccezione di Hobbes, quale Leo Strauss - diremo che è «questa paura della morte violenta, prerazionale nella sua origine ma razionale nelle sue conseguenze», la «radice dell' interno diritto e inoltre dell' intera morale». Sono gli altri uomini che possono mettere a repentaglio la mia vita. Per questo c' è bisogno dello Stato che protegga tutti dalla morte violenta.
il tuono e la civiltà Questa impostazione, propria del giusnaturalismo moderno, ha avuto la sua fortuna, ma già nel settecento emergono due approcci diversi e interessanti. Anzitutto, quello di Giambattista Vico che nella sua Scienza Nuova (prima edizione 1725) individua nella paura l' origine della civiltà. Ma che tipo di paura? La paura di un evento naturale, del tuono.
Quello che spaventa gli uomini anzitutto non sono dunque come per Hobbes gli altri uomini, ma un evento naturale. Siamo tutti impauriti dal tuono perché tutti abbiamo paura della stessa cosa. Questa paura diventa allora un riferimento comune: «Il cielo finalmente folgorò, tuonò con folgori i tuoni spaventosissimi Qui pochi giganti spaventati e attoniti dal grande effetto di che non sapevano la cagione, alzarono gli occhi e sentirono il cielo e la natura loro era in tale stato, d' uomini di tutte robuste forze di corpo, che urlando, brontolando spiegavano le loro violentissime passione si finsero il cielo essere un gran corpo animato».
Il momento iniziale del passaggio dallo stato di bestialità all' umanità avviene dunque in modo spaventoso e traumatico attraverso il tuono: ed il fatto che gli uomini sentano il pericolo come "comune" indica al contempo il modo per superarlo insieme. Vico ci propone un mito. Oggi in tempo di epidemia più attuale che mai.
gli abusi del tiranno Ma, pochi anni dopo, Montesquieu ne Lo spirito delle leggi (1748) svelerà la storia, la realtà di quel mito, sottolineando come il problema essenziale della politica non è la paura della natura ma la paura della tirannia, perché «chiunque abbia potere è portato ad abusarne» E per contrastare gli abusi di potere pensò di dividere il potere. Potere legislativo ed esecutivo dovevano condizionarsi e limitarsi a vicenda. E il potere giudiziario doveva essere la "bouche de la lois". Da allora la separazione dei poteri è diventato uno dei principi fondamentali della democrazia liberale.
Oggi sembra tutto perso, ed abbiamo di nuovo un tiranno che siede a Palazzo Chigi contornato da esperti che gli offrono le loro "terapie" e che abusando del suo potere decide con meri atti amministrativi e ordinanze quando sarà opportuno far passare gli "schiavi volontari" dallo stato degli "arresti domiciliari", in cui si trovano, a quello della "libertà vigilata". E per la paura del virus persino i vari Zagrebelsky, sempre pronti ad intervenire contro Salvini quale sostenitore di una democrazia illiberale, tacciono di fronte a questo nuovo dispotismo per nulla illuminato.
Se la lezione di Tucidide è ancora attuale, non è allora che per ricordarci come sia in relazione alla paura che si gioca la partita. Un' epidemia uccide. La paura però può farci perdere la libertà.