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Recobery Fund, per sistemare le nostre casse serve ben altro: entusiasmi immotivati

Paola Tommasi
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Europa: ride bene chi ride ultimo. Per adesso la dea bendata ha baciato Giuseppe Conte con 209 miliardi. Più che abile negoziatore, si è dimostrato fortunato. Ma quando queste risorse non arriveranno, o ci saranno chieste indietro perché spese male e in ritardo, l'unica leva che il governo potrà utilizzare sarà quella fiscale, con una stangata al ceto medio. I Paesi "frugali" hanno condotto la loro battaglia all'ultimo sangue in Ue per ridurre in maniera sproporzionata la propria contribuzione al bilancio comune e solo come conseguenza di ciò sono aumentate le risorse destinate all'Italia dal Recovery Fund. Non merito della trattativa di Conte, dunque, che invece insisteva affinché quegli "sconti" venissero cancellati e che il sistema fiscale di Olanda e compagni, per cui l'Erario italiano perde ogni anno 6,5 miliardi di euro, venisse rivisto. Niente di tutto questo. Né un piano di riforme e di investimenti che giustifichino l'esborso della Commissione. A Palazzo Chigi c'è grande entusiasmo sull'accordo europeo perché l'Italia è il Paese che riceverà più risorse di tutti, sebbene ci sia poco da festeggiare visto che questo dipende dal fatto che la nostra economia è la più disastrata d'Europa, con un tasso di disoccupazione elevato, e non è stata in grado di riprendersi con gli interventi del governo, cosa che è in parte avvenuta invece negli altri Paesi. Ma un'ulteriore domanda resta ancora irrisolta: da dove prende la Commissione europea i 750 miliardi del Recovery Fund, di cui 209 destinati, appunto, all'Italia? Dall'emissione di titoli di debito comune europeo, un primo passo certamente benvenuto verso gli Eurobond, ma anche da tasse di scopo, come quella sulla plastica di 80 centesimi al chilogrammo, e, soprattutto, da versamenti degli Stati membri. Significa che prima di avere i fondi dall'Europa, di cui dovremo giustificare centesimo per centesimo l'utilizzo, sarà l'Italia a doverli dare all'Ue.

 

 

 

Questo punto non è ben chiaro nel documento finale di ieri notte, nonostante le 68 pagine, ma il rischio è che, come avviene per il bilancio comune, il nostro Paese debba versare più di quello che, dopo, a caro prezzo e previe stringenti condizioni, avrà indietro. Senza considerare che i piani di utilizzo potrebbero richiedere il placet del Consiglio europeo, il che significa ogni volta lunghe ed estenuanti trattative come quelle dello scorso fine settimana a Bruxelles, dall'esito incerto. Ad ogni modo, trattasi di fantamiliardi, di cui il Presidente Conte è specialista, che arriveranno col contagocce non prima del 2021, a conferma della lentezza a fronteggiare le emergenze dell'Ue, che ha impiegato cinque mesi per elaborare un piano che a quest' ora avrebbe dovuto essere già operativo. Ma il Tesoro italiano ha bisogno di fondi disponibili subito. Proprio per tal motivo, visto che Giuseppe Conte in quattro giorni di tira e molla non è riuscito ad ottenere nessun anticipo e che l'ideologia del Movimento 5 Stelle non consente il ricorso al Meccanismo europeo di Stabilità (Mes), sono in arrivo nuove tasse. La prima ad essere riformata nel progetto del ministro piddino dell'Economia Roberto Gualtieri sarà, pare, la tassa di successione, con relativa revisione, ovviamente a rialzo, degli estimi catastali. Una patrimoniale bella e buona, che i giallorossi non hanno però il coraggio di chiamare con il suo nome. Una stangata al ceto medio italiano, dopo quella del Covid, che dai primi calcoli della Ragioneria generale dello Stato frutterebbe però meno di un miliardo di euro. A reintrodurla nel 2006, dopo la cancellazione nel 2001 del governo Berlusconi, fu Romano Prodi ma dovette comunque prevedere una franchigia alta e aliquote contenute, per un gettito di 800 milioni di euro (0,05% del Pil). Pur a voler raddoppiarne gli introiti, non si andrà oltre i due miliardi totali. A meno che non la si voglia decuplicare per raggiungere i livelli stellari della Francia (0,61% del Pil), ottenendo 8-10 miliardi ma anche il tracollo del tessuto sociale nazionale. Tutti importi comunque residuali rispetto a quel che serve per il rilancio dell'economia, che nel 2020 avrà un tonfo tra 9,5% e 13% del Pil. Superato lo stallo in Europa, resta evidente quello nella maggioranza di governo a Roma. 

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