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Nicola Zingaretti, il congresso dei baby dem finisce in farsa

Alessandro Giuli
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C'era una volta il Pci, blasonato e spaventoso partito-stato che incuteva rispetto, allevava in vitro i suoi piccoli pionieri-burocrati e li accompagnava dalla culla alla tomba. Oggi c'è il Partito democratico e una risata lo seppellirà, a giudicare da come i giovani dem non riescono neppure a eleggere il loro capetto. Il mandato del segretario uscente, Mattia Zunino, è scaduto nel marzo del 2019 e da allora segreteria e direzione risultano vacanti. Le ultime notizie disponibili dicono infatti che la Commissione di garanzia dei Giovani Democratici ha votato «a larga maggioranza» una delibera che dispone la sospensione dei lavori congressuali iniziati il 25 luglio «per fare le opportune verifiche e consentire alle due mozioni uno sforzo comune per recuperare le condizioni minime di una dialettica composta, serena e dignitosa tra le parti». Motivo? Due giorni fa era stata annunciata la vittoria della molisana Caterina Cerroni, già bocciata alle ultime elezioni europee, come nuova leader dei giovani dem in ticket con l'albanese Davide Skenkeri; ma lo sfidante Raffaele Marras non ha riconosciuto il risultato e ne è subito nata una contesa da osteria con reciproche accuse di irregolarità denunciate da entrambe le mozioni in pista. Una cosa dell'altro mondo, per l'appunto, se paragonata al tradizionale protocollo congressuale della casa madre comunista, nella quale peraltro l'insormontabile "centralismo democratico" vietava perfino l'esistenza di correnti e cordate (per lo meno ufficialmente). la gloriosa fgci Invece la versione millennial del Pci, irrigata dall'affluente del cattolicesimo di sinistra proveniente dalla Margherita, oggi lava in piazza i suoi panni sporchi congelando a data da destinarsi la questione della leadership giovanile.

 

 

E senza farsi mancare una spolveratina di tardofemminismo, visto che alcune ex dirigenti di rango come Barbara Pollastrini e Livia Turco avevano già salutato l'incoronazione della Cerroni con toni da #metoo: «In questo clima di maschilismo imperante nella nostra società e nella politica la vittoria di Caterina è un bellissimo segnale di fiducia e di speranza», ha esultato anzitempo l'ex ministra alla Sanità. Niente da fare, anzi tutto da rifare. Senza nulla togliere alla qualità personale e alla passione civile dei giovani candidati democratici, è sufficiente un minimo di memoria storica per cogliere l'enorme divario che separa gli attuali boyscout di Nicola Zingaretti dai vecchi-adolescenti di quella che fino al 1990 fu la gloriosa Federazione dei giovani comunisti italiani, meglio nota come Fgci. Basti rammentare che in quelle file si sono fatte le ossa figure di primissima grandezza. Da Pietro Secchia, semiclandestino segretario nazionale figgicciotto dal 1927 al 1931, fino a Massimo D'Alema (1975-1980) passando nientemeno che per Enrico Berlinguer (1949-1956), ma pure Achille Occhetto (1962-1966) e Claudio Petruccioli (1966-1969). Ultimo segretario, eletto poco prima del crollo del Muro di Berlino (1988), fu l'allora già molto intellettuale Gianni Cuperlo. Stiamo dunque parlando d'un pezzo di classe dirigente italiana cresciuta nell'alveo di riti e liturgie novecentesche che prevedevano, naturalmente, il conflitto delle idee - pensate soltanto al ruolo dirompente dei miglioristi guidati da quel gigante che fu Giorgio Amendola - ma lo inquadrava in una disciplina rigorosissima e ingessata. era digitale Tempi e mondi lontanissimi e analogici, dicevamo, ormai soppiantati dall'analfabetismo a sfondo narcisistico caratteristico dell'èra digitale.

Tant' è che alcuni ragazzi democratici di buoni studi o di buona memoria, in queste ore, immalinconiscono sui social al pensiero del sopraggiunto degrado e alcuni si spingono a reclamare di chiudere bottega piuttosto che vilipendere un passato così nobile. Ma la migliore epigrafe tombale è quella vergata da Walter Verrigni, segretario giovanile democratico di Pescara: «Questo congresso verrà ricordato come una delle pagine peggiori della storia dell'organizzazione giovanile». E certo non può essere casuale il fatto che al mesto spettacolo contemporaneo offerto dagli eredi del Pci faccia riscontro il voto della base grillina interpellata oggi su Rousseau intorno alla deroga sul secondo mandato per i consiglieri comunali e alle alleanze locali con i partiti "tradizionali". Per capire quanto la procedura sia fededegna, è sufficiente leggere le parole del reggente Vito Crimi: «Voglio essere chiaro: un eventuale cambiamento non è da intendersi come una deroga o passo indietro sui nostri princìpi ma il riconoscimento di una realtà di fatto». Vale a dire la ratifica di una decisione già presa da Jocker-Grillo nelle segrete stanze del suo principato populista: un anno fa, per benedire il ribaltone di Palazzo giallorosso; ora per legittimare la proterva ricandidatura di Virginia Raggi al Campidoglio in vista del 2021. È così che il Novecento finisce davvero in un'operetta buffa e virtuale.

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