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Matteo Salvini e le inchieste sulla Lega, Alessandro GIuli: "Lo aiuteranno, come fecero con Berlusconi"

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Matteo Salvini è nuovamente sotto assedio giudiziario e zitto zitto avrebbe di che rallegrarsene. I sondaggi dicono che la sua Lega è in ottima salute, resta saldamente il primo partito italiano e la curva del consenso sta tornando a impennarsi. Complici le solite sinistre, dai partiti trasversali delle procure al solito circo mediatico sempre più esangue e minoritario, ma nondimeno querulo e molesto come sempre. Adesso è il turno della caccia grossa al legame tra i noti 49 milioni evaporati e i commercialisti da poco arrestati per la vicenda della Lombardia Film Commission: un presunto giro di fatture gonfiate con incassi personali da rubagalline che tutt' al più - salvo clamorosi rivolgimenti - confermerebbe il complicato rapporto dei leghisti con tesorieri e contabili. E invece stiamo assistendo di nuovo a un'ingente mobilitazione di uomini, mezzi e titoli cubitali da parte della fragile maggioranza giallorossa e dei suoi sbirri giornalistici di complemento, tutti impegnati nell'acrobatica ripetizione dell'identico schema. Ovvero: il tentativo di propiziare la rimozione dell'avversario politico per vie giudiziarie.

 

 

 

I tentativi - Ogni occasione sembra essere quella buona: le polverose intercettazioni all'hotel Metropol di Mosca su un'immaginifica tangente petrolifera; la sequela degli avvisi di garanzia ricevuti da Salvini durante l'attività di ministro dell'Interno impegnato a negare gli sbarchi ai migranti irregolari (andrà a processo per il caso Open Arms con l'accusa di sequestro di persone); le inchieste spuntate a macchia di leopardo in Italia su varie e corpuscolari notizie di reato e perfino la vicenda del bonus da 600 euro intascato fra gli altri da parlamentari e politici locali già puniti dal capo. Tutto fa brodo per gli chef di governo e i camerieri di un'informazione pigra e disperata, pur di appiccicare alla Lega salviniana l'aura di un'insopprimibile inclinazione delinquenziale. Ricorda qualcosa? Sì, circa un quarto di secolo marchiato a fuoco dal berlusconismo, con il Cavaliere - oggi addirittura rimpianto dai suoi primi carnefici - inseguito da manettari e mozzorecchi mentre scalava a intermittenza le vette della popolarità e del governo. Fatale gli fu, in apparenza, la sentenza che nel 2013 lo costrinse all'estromissione dal Parlamento e la condanna ai servizi sociali in quel di Cesano Boscone. Ma come noto il Caimano s' è ripreso perfino da quell'onta e sempre lì sta, rimpicciolito ma indispensabile. Dunque siamo al cospetto della consueta eterogenesi dei fini che travolge gli ispiratori e gli ultrà della demonizzazione extrapolitica: otterranno anche stavolta l'esatto opposto di ciò che si erano prefigurati e garantiranno lunga vita, quand'anche un po' tempestosa e vittimistica, all'uomo nero del momento. Anche perché quell'uomo nero li ha delusi in ciò che loro hanno dato per scontato da un anno a questa parte: malgrado alcune incertezze e debolezze comunicative sopraggiunte, semplicemente non si è autodistrutto come molti avevano vaticinato. «Stare all'opposizione lo consumerà in modo rapido e irreversibile i giudici faranno il resto il sovranismo è un cadavere che cammina»: frasi come questa erano scolpite negli auspici divinatori degli ex alleati grillini, degli arcinemici democratici e dei loro fiancheggiatori stretti intorno a Giuseppe Conte nell'illusione d'aver trovato il vendicatore naturale delle loro sofferenze. Nessuno può escludere che la profezia, per ora più sbagliata che prematura, un giorno finisca per avverarsi, ma al momento ogni elemento dirige nella direzione contraria.

Caccia giustizialista - Aspettare con trepidazione i soldi omeopatici del Recovery Fund o del Mes e intanto fare di Salvini il bersaglio d'una battuta di caccia giustizialista, senza sfidarlo sul suo terreno e anzi dando l'impressione d'aver abbandonato l'interesse nazionale lungo le frontiere e nei portafogli impoveriti degli italiani, non sembra proprio il massimo come strategia politica. Sebbene sia indubitabile che i dirigenti leghisti hanno qualche problema nella scelta dei propri amici, è altrettanto certo che fra i cittadini la narrazione securitaria, liberale e garantista resta largamente maggioritaria. Come dimostrano l'ascesa granitica di Giorgia Meloni e il recupero dell'animale politico Salvini: più predatore che preda, con l'aureola gratuita del giovane martire giudiziario dal futuro assicurato almeno per un altro quarto di secolo. 

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