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Nicola Zingaretti e il Pd puntano alla cassa, non al rimpasto. Il retroscena di Elisa Calessi

Elisa Calessi
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Non chiederà il rimpasto. Non chiederà ministri in più per il Pd, che pure, rivendica, ora è il primo partito italiano e il pilastro dell'alleanza di governo (con un M5S evaporato e gli altri, Italia Viva e Leu, che lottano per sopravvivere). Non lancerà ultimatum e non farà «riccattucci», per dirla coi suoi. Però il giorno dopo le elezioni regionali che dovevano segnare il suo de profundis e invece lo proiettano tra i vincitori, Nicola Zingaretti, coi suoi modi morbidi e il sorriso onnipresente, mette in chiaro che, da ora in poi, il timone del governo ce l'ha il Pd. Ora si cambia. «Noi», dice dal Nazareno, «crediamo vada aperta una fase nuova all'insegna del fare e concretezza per garantire un futuro al Paese». Il destinatario è Giuseppe Conte. E Zingaretti sa che gli equilibri sono cambiati. «Conte è uomo di mondo», dice un dirigente del Pd. L'obiettivo è portare il governo a dire sì al Mes, per poi passare dalla modifica dei decreti sicurezza fino alla gestione dei soldi che arriveranno con il Recovery Fund. Insomma, i progetti non potranno più passare solo da Palazzo Chigi. Si faccia una cabina di regia, un «coordinamento», come ha chiesto ieri Andrea Orlando, quello che volete. Ma il Pd pretende di guidare la partita dei 209 miliardi che arriveranno dall'Europa. Per farlo Zingaretti sa che deve evitare due cose: far esplodere il M5S e delegittimare Conte.

Il vero obiettivo - Ma la squadra di questo governo sarà in grado di affrontare la nuova fase?, lo incalzano. Lui: «Noi abbiamo posto temi e contenuti. Starà al presidente del Consiglio valutare contenuti e squadra. Noi sosterremo questo governo fino a quando farà le cose. È importante non essere pigri, mantenere impegni. La squadra che la dovrà realizzare non è un compito nostro e non è all'ordine del giorno. Spetta al presidente del Consiglio che ha tutta la libertà e responsabilità di farlo». Insomma, se vuole cambiare, lo faccia. Ma non sarà il Pd a chiederlo, assumendosi la responsabilità di far cadere il castello di carte. Altrimenti, non tocchi nulla. Ma faccia quello che il Pd chiede con la forza dei numeri elettorali. La parola d'ordine, allora, è «concretezza». Chiede, «per uscire da discussioni ideologiche», che «il ministro Speranza presenti un piano della nuova sanità italiana». Basta con le «discussione nominalistiche, entriamo nel concreto delle cose», diciamo «la sanità che vogliamo costruire». Pochi minuti dopo, Conte dirà lo stesso: lasciamo stare il Mes e parliamo delle cose da fare.

Patto per le Riforme - Per il resto, Zingaretti chiedere un patto per le riforme (superare il bicameralismo perfetto, fare la legge elettorale proporzionale, modificare i regolamenti). E poi i decreti sicurezza. «C'è un accordo in maggioranza», Lamorgese ha pronti i testi modificati, «è ora di cominciare l'iter». E poi il piatto forte: il recovery fund: «Crediamo occorra mettere a fuoco le scelte, anzi produrre le scelte. Il cuore di questa azione deve essere quello di dare vita attraverso green economy al più grande piano di occupazione giovanile e femminile». Andrea Orlando si spinge oltre. «Riteniamo che a una fase nuova debba corrispondere una nuova agenda. Noi pensiamo che il Pd debba pesare di più». Infine il partito. Archiviato il congresso, lancia l'idea di una discussione con la società, gli imprenditori del digitale. Insomma, la discussione sulla leadership è rimandata a scadenza. Zingaretti evita persino polemiche con Matteo Renzi. Iv non è andata benissimo, è contento segretario? Orlando ride dietro alla mascherina, Zingaretti si trattiene. «A noi serve che ogni soggetto politico dell'alleanza sia forte. Quello che non mi auguro è che sia forte contro un altro alleato». E oggi, insieme a Renzi, sarà a Firenze a festeggiare con Eugeni Giani.

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