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Vittorio Feltri, la stoccata su tasse ed evasori: "Stando ai ragli ci devono essere parecchi asini nelle zone ministeriali"

Vittorio Feltri
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Proponiamo ai lettori un articolo che Vittorio Feltri ha scritto negli anni '80. Parla di tasse e di evasori molto particolari.

 Spiace dirlo, perché siamo consapevoli che, in fondo, al primato ci tenevano: non è vero che siano i commercianti, in questo momento i più perseguitati dal fisco. C'è chi sta peggio: i cani. A forza di fare gli amici dell'uomo hanno finito per assomigliargli, sono tremendi evasori. E il ministero delle Finanze ha dedicato loro addirittura una risoluzione, un atto ufficiale dello Stato, che il Bollettino Tributario ha pubblicato per intero sul numero recente. Tutto ha preso l'avvio con la denuncia di un Comune: il sindaco si era accorto che i fedeli quadrupedi tendevano a nascondersi, fiscalmente, nell'ultima delle tre fasce; una vergogna: la maggior parte pagava ancor meno dei pensionati e perfino dei gestori di ristorante. L'ente locale, data la normativa indicata, non riusciva a incastrare gli imbroglioni e si è rivolto, per avere istruzioni, al ministero, i cui funzionari hanno agito con straordinaria prontezza.

Per cominciare hanno ribadito una fondamentale regola del regno, e mai abrogata, che stabilisce senza equivoci che le categorie dei cani sono tre: lusso, seimila lire di imposta all'anno; semilusso, duemila; e "base", seicento lire. E come si fa a sapere se un cane appartiene alla "lusso" o alla "base"? Nella risposta all'inquietante quesito gli esperti ministeriali hanno sfoderato non soltanto competenza, ma anche brillantezza. "Ai fini tributari - hanno scritto - i cani vanno classificati in rapporto alla loro razza e alla loro effettiva distinzione, nonché al rapporto di affezione con il proprietario. Vanno pertanto classificati nella prima categoria i cani appartenenti alle razze pregiate e quelli detenuti per spirito affettivo".

Vista l'insistenza dei relatori sulla questione affettiva, come elemento d'aggravio fiscale, qualcuno potrebbe intendere che per pagare meno tasse sia sufficiente prendere a calci il cane in modo da dimostrare che non gli si vuole bene. Tuttavia la faccenda è più complessa, e per capirla bisogna andare avanti nella lettura del Bollettino: "I cani da caccia, se detenuti da persone sprovviste della relativa licenza di porto d'armi e quindi non adibiti alla loro specifica destinazione, debbono essere considerati di lusso e tassati in prima categoria, e così pure per quelli da guardia, se non vengono destinati a tale servizio, devono considerarsi di prima categoria, in quanto la loro destinazione trae evidentemente origine da ragioni di affettività e non specifica utilità". Si dà però il caso che certi cani pur di fregare Visentini si spaccino per guardiani malgrado non ne abbiano i titoli; ma anche questi mascalzoni sono stati sistemati una volta per tutte dal ministero delle Finanze.

 

 

Ecco come: "La mancanza di utilizzazione specifica del cane può derivare anche dal fatto che l'animale sia per natura inadatto a qualsiasi particolare servizio: ad esempio un piccolo cane volpino non può considerarsi da guardia in quanto potrà al massimo funzionare da avvisatore, ma non potrà considerarsi buon difensore essendo pacifico che debbano considerarsi tali quei cani che, per conformazione e qualità fisiche, siano ottimi difensori e incutano paura a chi volesse attentare all'incolumità del proprietario o dei suoi beni". Perdio, finalmente un po' di ordine e di chiarezza. Non sappiamo quanto renderà all'erario il risolutivo intervento, anche se immaginiamo che sarà costato parecchio: riunioni, studi faticosi, discussioni, lavoro straordinario, spese di stampa e cancelleria. Ma riconoscendone l'utilità, dal punto di vista della "questione morale", esortiamo il ministero a insistere in campo animale, magari istituendo subito un'adeguata imposta sui pesci rossi, quasi tutti detenuti per affetto, giacché quali guardiani non valgono niente e, diciamo la verità, deludono spesso pure come avvisatori. Se poi, affettività a parte, si avesse il coraggio di estendere la tassa agli asini, e stando ai ragli ce ne devono essere parecchi nelle zone ministeriali, il passivo dello Stato verrebbe appianato di colpo.

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