Lavoro da casa, aumentano i pentiti: non si stacca mai, stress alle stelle e aumento dei costi
Solo in Italia si chiama erroneamente smart nel resto del mondo è semplicemente homeworking. Il lavoro da casa, lo abbiamo desiderato fortemente; e santificato le pause tra una videoconferenza e un articolo da scrivere per caricare lavatrice o lavastoviglie. Un brivido professionale che non si provava da quand'eravamo freelance. Che fortuna, dicevano in molti, puoi lavorare in pigiama, con i tuoi tempi, soprattutto testare la resilienza organizzativa della tua azienda. Tutti nella stessa barca: ministeri, medie e grosse società hanno fatto di necessità virtù.
Pensavamo, se tutti questi giganti, contro il contagio da Covid, sposano il lavoro da remoto allora siamo davvero con un piede nel futuro. Altro che openspace, vuoi mettere il privilegio di ascoltare i primi tg della giornata in salotto sorseggiando caffè americano e assaporando (senza alcuna fretta) fette biscottate e marmellata, in barba al traffico e ai mezzi pubblici strapieni. Che bello non dover incrociare gli sguardi malmostosi o i sorrisetti fasulli di certi colleghi. Finalmente un po' di sana vita lontana dalle faticose dinamiche che ti avvelenano la giornata. In poco tempo abbiamo imbastito un piano organizzativo casalingo quasi ineccepibile, l'entusiasmo era tanto.
Ma col passare dei giorni, delle settimane, dei mesi, complice la sindrome del lazzaretto manzoniano, abbiamo realizzato la fregatura. Le connessioni da remoto cadono ripetutamente, si perde la concentrazione e tutto diventa faticoso (era così anche all'inizio, direte, ma le difficoltà tecniche erano misteriosamente più sopportabili); i rapporti con i capi sono incerti, in ritardo, approssimativi. Si ha la sensazione di galleggiare nel lavoro più che padroneggiarlo. E mentre l'ansia sociale ha ormai raggiunto livelli inimmaginabili, quella da prestazione procede a passo svelto verso l'ossessione. Si rilegge, si corregge, si rilegge ancora e si corregge di nuovo. Non si stacca mai, si è sempre connessi, anche alle 2 di notte. E che impresa ogni volta riuscire a captare tra le righe di che umore è il direttore, chi sale o chi scende nella classifica dei cosiddetti "bravi".
Tagliati fuori dal sistema, dalle riunioni vis-à-vis, ci si domanda che fine faranno carriera e promozioni (anche se i decreti governativi assicurano che non cambierà nulla); e chi sta rischiando il posto? Il telelavoro al tempo della pandemia si è inserito in una realtà imprenditoriale culturalmente impreparata. Ecco perché «molti sono finiti in overworking, soprattutto quando il proprio impiego permette di lavorare oltre il normale orario», riferisce a Libero la psicoterapeuta Emma Cosma. «L'utilizzo delle nuove tecnologie ha comportato uno stato di tracciabilità costante, senza confine tra attività personale e lavorativa. I miei pazienti sono stressati, spesso costretti a stare davanti al pc oltre l'orario di lavoro per andare incontro alle esigenze dell'azienda». In effetti in questo periodo è cresciuto del 6% il numero di ore extra lavorate, secondo uno studio di Bankitalia.
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Se inizialmente questa modalità poteva essere una valida alternativa, una sorta di doppia mascherina, per proteggersi dall'infezione da Covid, ora presenta aspetti negativi anche a livello psicologico. «Si sente la mancanza dei rapporti umani e persino la nostalgia dei colleghi. Spesso non si stacca dal lavoro neppure per bere un caffè e a volte non c'è spazio per la pausa pranzo. Alcuni dichiarano che sono saltati i ritmi quotidiani e si finisce per mangiare davanti al computer», racconta la psicologa. E aggiunge: «C'è chi rivendica il diritto alla disconnessione, del tutto ignorato».
È stato fortemente intaccato il lavoro di squadra, si tende a gestire l'attività in solitudine e in totale autonomia. «La creatività si sviluppa dalla curiosità e dal confronto con gli altri, dall'analizzare insieme e così si rischia di non fare carriera perché la valutazione delle performance è limitata», ne è convinta la Cosma.
«Alzarsi, vestirsi per andare in ufficio ti motiva, lavorare in accappatoio "perché tanto non ti vede nessuno" fa abbassare il livello operativo e potrebbe far perdere quella parte di competenze trasversali che si acquisiscono solamente sul campo, nelle relazioni con gli altri». In linea anche la dottoressa Miolì Chiung, responsabile dello Studio di Psicologia Salem, che raggiunta al telefono sintetizza: «L'abbiamo sognato per molto tempo, poter vivere la sfera lavorativa comodamente da casa, ma non abbiamo fatto i conti con i risvolti negativi. Abbiamo messo da parte le relazioni sociali, che sono fattori integranti della nostra vita. Il lavoro è fatto anche di pause caffè, scambi di idee tra colleghi, pettegolezzi di corridoio, invidie o successi. E averci rinunciato per molto tempo sta cominciando a pesare. L'altro aspetto è quello di non riuscire più a distinguere i confini tra lavoro e vita privata. Molti pazienti mi riferiscono che sono sempre connessi e che le richieste dei superiori sono aumentate con la motivazione che "tanto lavori da casa"». Un malessere comune. Per non parlare di chi è costretto a "produrre" confinato in cucina o in camera da letto, perché il coniuge è nelle stesse condizioni e i figli devono pur giocare da qualche parte.
E se pensate che il telelavoro faccia risparmiare, niente di più sbagliato. Le bollette di luce e gas dei single sono aumentate in media di 145 euro in più rispetto all'anno precedente, quelle delle coppie di 193. E le famiglie - con la scuola a distanza dei figli - hanno visto lievitare i costi di ben 268 euro. Poi ci sono le spese tecnologiche. Zoom sempre aperto sul pc per le riunioni e i download che succhiano giga come fossero caramelle. Nel mondo nel 2020 sono stati venduti più di 450 milioni di computer. Il mercato dell'informatica non è mai stato così florido: in Italia, segna un cospicuo +79% rispetto all'anno prima.
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Significa che abbiamo speso come non mai per diventare ipertecnologici. Ma non potevamo fare altrimenti. E mentre chi lavora da remoto nel privato presenta segni di alienazione, stress, stanchezza, non è lo stesso (forse) per i sei dipendenti pubblici su dieci che lavorano da casa (il 95 per cento degli Enti ha aderito). La foto scattata da un recente rapporto di Bankitalia nel pubblico e nel privato mostra in effetti comportamenti diversi. Sembra che «l'uso dello smartworking nella pubblica amministrazione possa essere andato al di là dell'effettiva telelavorabilità delle mansioni, con conseguenze incerte sulla produttività».
Nel contempo «i risultati dello smartworking nel settore privato sono stati positivi, preservando i livelli salariali e l'occupazione». Certo è che non si può stare dietro a uno schermo, non siamo arrivati ancora all'epoca in cui un algoritmo sostituisce un'emozione. Siamo "animali sociali" dobbiamo vivere in branco, crescere, emanciparci. Ed evolvere insieme.
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