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Mario Draghi, è bastata una telefonata: la resa di Beppe Grillo, subito sull'attenti

Fausto Carioti
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Il ministero per la Transizione ecologica (mai esistito nei governi di Giuseppe Conte) ci sarà, e così Mario Draghi ha dato a Beppe Grillo il feticcio da mostrare alla base dei Cinque Stelle. La quale oggi, finalmente, potrà votare in favore della partecipazione all'esecutivo guidato dall'ex presidente della Bce. Come torna utile al premier incaricato, come voleva il comico genovese e come anela la grandissima parte dei 282 parlamentari del movimento, smaniosa di partecipare al terzo governo consecutivo, accanto allo «psiconano» Silvio Berlusconi, a Matteo Salvini e a tutti gli altri. Resta da capire se la nuova creatura sarà davvero quella che aveva chiesto Grillo, ossia una superstruttura che ingloba i dicasteri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico, o se siamo davanti a un semplice imbellettamento del ministero dell'Ambiente.

I dirigenti del Wwf e delle altre associazioni ecologiste che Draghi ha incontrato e usato per dare l'annuncio (lui continua a stare abbottonatissimo) si sono limitati a dire che «ci sarà il ministero della Transizione ecologica, dove le competenze saranno concentrate». È possibile, ad esempio, che la nuova scatola racchiuda Ambiente, Trasporti ed Energia, tenendo fuori materie pesantissime come Industria e Lavori pubblici. Più che il nome, insomma, contano le deleghe, ed è solo da queste che si capirà cosa il M5S ha ottenuto davvero. Lo sanno bene dentro la Lega e in Forza Italia, dove il commento ufficioso è identico: «Draghi ha fatto la sceneggiata che serviva a Grillo, nessun problema per noi». Altro snodo importante è il nome di chi guiderà il nuovo ministero: i grillini lo rivendicano e Stefano Patuanelli ci spera, ma è probabile che la guida tocchi a un economista. Alla voce "Rivoluzione verde e transizione ecologica", infatti, è legato un terzo dei 209 miliardi di euro elargiti dalla Ue tramite il fondo per la ripresa, e Draghi considera questi soldi cruciali per il Paese.

 

 

 

Al grillino di turno, quindi, potrebbe essere riservato il ruolo di viceministro subordinato a un tecnico. Magari l'economista di area Pd Enrico Giovannini, già responsabile del Lavoro nel governo Letta. A sbloccare la situazione è stata una telefonata tra Draghi e Grillo all'ora di pranzo. Nulla di troppo complicato, il "garante" del movimento cercava solo una vittoria di carta da sventolare dinanzi agli iscritti. Discorso molto diverso sarebbe stato il veto nei confronti del Carroccio. Martedì sera, infatti, l'Elevato aveva raccontato di aver detto a Draghi che nell'esecutivo «non deve entrare la Lega». Si è rivelata però una barzelletta delle sue, perché subito dopo è giunta l'interpretazione autentica di Vito Crimi: «Veti nostri sulla Lega? Nessuno!». Né Draghi né Sergio Mattarella, del resto, li avrebbero accettati. Gli ostacoli non sono comunque finiti. È chiaro, ormai, che il programma sarà svelato da Draghi solo nel discorso con cui chiederà la fiducia, ma da qui ad allora dovrà aver scelto i ministri.

 

 

 

E siccome i partiti sono numerosi e i loro esponenti dovranno spartire le poltrone con tecnici e professori, molti rimarranno a bocca asciutta. Lo schema che circola nelle segreterie prevede tre nomi per i Cinque Stelle, due per Lega, Pd e Forza Italia, uno per Italia viva, Leu e forse +Europa, qualora sia chiamata in causa Emma Bonino. Circa metà delle caselle totali: il resto andrebbe a esperti più o meno indipendenti. Anche se Draghi deciderà di testa propria, consultandosi con il capo dello Stato, in Forza Italia sono ritenute solide le candidature di Antonio Tajani e Anna Maria Bernini e nella Lega quelle di Giancarlo Giorgetti e Giulia Bongiorno. Nel Pd, Dario Franceschini e Andrea Orlando si aspettano di far parte della squadra e hanno avvisato Nicola Zingaretti che spetta a lui difenderli.

Nel calendario, ancora abbozzato, si legge che il presidente del consiglio incaricato si recherà domani da Mattarella per sciogliere la riserva. Entro sabato dovrebbe annunciare la lista dei ministri, che giurerebbero lunedì. A metà della prossima settimana inizierebbe quindi il dibattito per la fiducia, prima in Senato e poi alla Camera. Se i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni si confermassero l'unica forza d'opposizione (assieme a un gruppetto di fondamentalisti ex grillini), il governo Draghi nascerebbe con l'appoggio di una base parlamentare enorme: circa 290 senatori su 321 e oltre 580 deputati su 629. Sarebbe un ottimo avvio, anche se la storia insegna che una maggioranza vasta è cosa assai diversa da una maggioranza unita.

 

 

 

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