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Luigi Di Maio, ciò che il grillino deve spiegare sugli italiani ammazzati in Congo

Renato Farina
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Domande, ancora domande. Chi è responsabile per non aver tutelato l'ambasciatore in Congo, il carabiniere di scorta e l'autista? Davvero il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha ragione a sentirsi a posto con la coscienza e così i suoi alti funzionari e i servizi segreti esteri (Aise)? E la Procura di Roma oltre a dar la caccia agli assassini, sta pensando o no di aprire un fascicolo con ipotesi di reato a carico di qualcuno che sta a Roma in alto loco? Intanto un po' di stupore. Tutti i partiti hanno accettato la versione autoassolutoria fornita da Di Maio alla Camera nell'informativa successiva ai fatti, e preso per buono lo scaricabarile messo in atto ripetutamente in questi giorni per addossare ogni responsabilità all'Onu. Non funziona così. Non esiste mai una delega assoluta della tutela quando c'è in ballo la sicurezza nazionale incarnata da un ambasciatore in territorio sensibile. Ricostruiamo i recenti avvenimenti, dalla parte per così dire dei "buoni", trascurando cioè l'identità dei killer e se fossero parte o meno di gruppi terroristici. Partiamo dall'ultima pagina.

 

 

Ieri c'è stato il funerale a Limbiate, in provincia di Monza e Brianza, dell'ambasciatore Luca Attanasio. Nello stadio c'era l'arcivescovo Mario Delpini, c'è stata totale identificazione tra la sua gente e il suo "ragazzo d'oro". Cresciuto all'oratorio, eccellente negli studi, generoso come il vino e buono come il pane, ma niente affatto sprovveduto. Sapeva da quando era arrivato in Conco di essere in uno degli angoli di mondo più pericolosi. Il Congo-Kinshasa (ex Zaire) è attraversato sistematicamente da conflitti. Le zone di confine sono alla mercé di gruppi armati che zigzagano tra Stati (Ruanda, Uganda, Kenia) cercando prede.

Luca aveva chiesto sin dalla fine del 2018 una scorta doppia. Arrivò un ispettore dalla Farnesina per capire se ne avesse i motivi (bella fiducia). Ma no, esagerava, fu la risposta. Attanasio non rinunciò però a fare il suo lavoro con la pienezza dei propri intendimenti magnanimi. Lo Stato aveva deciso che doveva accontentarsi di due carabinieri, meno cioè di quelli dediti a una qualsiasi scorta di basso calibro (minimo sei per coprire i vari turni)? Vuol dire che gli doveva andar bene così. Accorreva dovunque ci fosse una comunità di italiani, fossero essi imprenditori o membri di organizzazioni di volontariato internazionale, come l'Avsi, che dà una nuova vita ai bambini-soldato ad esempio. Era in servizio per l'Italia, era l'Italia, si può dire. Non un rappresentante in missione, ma l'incarnazione della patria e della sua bandiera.

 

 

 

Per recarsi a Goma, nell'Est, presso il Lago di Kivu (a 2540 km da Kinshasa, in auto sarebbero stati due giorni e mezzo. Ha usato i mezzi dell'Onu, ponendosi sotto la protezione delle Nazioni Unite. Ma che ritenesse insufficiente e vagamente problematica questa copertura lo dimostra il fatto stesso di esseri fatto accompagnare dal carabiniere Vittorio Iacovacci, non un segretario factotum, ma una guardia del corpo d'eccellenza. L'Onu aveva deciso che quel percorso che ha portato i due, con l'autista Mustapha Milambo, al sequestro e alla morte, non era passibile di accompagnamento dei caschi blu. Non è precisamente un comportamento raro da parte delle sigle internazionali.

Ed ora due precedenti. Entrambi in Libia. 1) Nell'estate del 2015 quattro tecnici della società Bonatti di Parma, furono sequestrati da milizie armate mentre si recavano su una jeep e con una solo guardia armata dalla Tunisia al loro cantiere di Mellitha in Libia. Due di essi finirono uccisi. I dirigenti sono finiti sotto processo per aver sottovalutato i rischi collegati alla situazione libica, «sempre più instabile e sfuggente». In fondo si erano fidati della sicurezza garantita da un governo riconosciuto dall'Italia (quello di Al Serraj) Il quesito che pongo è: ciò che vale per il settore privato vale anche per un ministero? Se questo è il caso allora il titolare della Farnesina dovrebbe rispondere nella stessa maniera del Presidente della società Bonatti, Paolo Ghirelli. Sono veramente curioso di vedere come il titolare del fascicolo, il Procuratore capo di Roma Michele Prestipino, procederà o meno nei confronti di Luigi Di Maio. 2) Quando in Libia, precisamente nel consolato Usa a Bengasi, l'ambasciatore americano Chris Stevens fu ammazzato dai rivoltosi l'11 settembre 2012, Hillary Clinton rischiò di saltare con tutta la sua petulante alterigia.

Il più potente Stato del mondo non aveva garantito la sicurezza né dei suoi uomini (oltre all'ambasciatore quattro tra marines e agenti della Cia) né quella del consolato. Com' era stato possibile quanto accaduto? La Cnn scovò mail di Stevens al Dipartimento di Stato nei quali manifestava preoccupazione e riteneva insufficienti le misure a tutela sua e delle sedi diplomatiche. Esagerava pure lui. Immediatamente dagli Stati Uniti si fece sapere che tutto questo era imprevedibile, che era stata una ribellione spontanea causata da un film (ricordiamo il pretesto fasullo della maglietta di Calderoli?), eccetera... Bugie, era stato qualcosa di pianificato da formazioni jihadiste tra l'altro usate in precedenza dagli americani proprio per abbattere Gheddafi. Hillary subì da una commissione d'inchiesta parlamentare un interrogatorio di 11 ore. Obama aveva comunque mandato subito 200 marines per snidare gli assassini, e far capire che gli ambasciatori americani non si toccano. E noi? Un bel telegramma. Tante condoglianze per gli eroi. 

 

 

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