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Mario Draghi, più poteri se farà il presidente della Repubblica: sussurri e scenari sul Quirinale

Fausto Carioti
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In silenzio, senza alcuna riforma della Costituzione, l'Italia sta per diventare una repubblica "di fatto" semipresidenziale, un clone non dichiarato del modello francese? Uno Stato che affida le redini del potere esecutivo a chi risiede nel Quirinale e non a chi sta a palazzo Chigi? Dove il ruolo "notarile" appartiene al presidente del Consiglio e non al capo dello Stato? È questo l'"elefante nella stanza" che accompagna l'ipotesi di eleggere Mario Draghi al Quirinale. E di cui nessuno parla. La variabile da cui tutto il resto dipende sono le condizioni alle quali la Ue eroga all'Italia i soldi del Recovery plan. Questi non sono concessi una volta per sempre. Al contrario: è previsto che i bonifici si interrompano non solo qualora emergessero frodi, ma pure se, lungo il cammino, non raggiungessimo gli obiettivi parziali che ci siamo impegnati a rispettare.

 

 

Sino al 2026 il monitoraggio sarà continuo, l'Italia sarà sottoposta ad un attento esame due volte l'anno. L'arrivo di Draghi è stato decisivo proprio per questo: con la sua firma in calce al «Piano nazionale di ripresa e resilienza», nessun Paese ha potuto dirci no. Dalla presidenza del Consiglio, forte di una maggioranza che si è affidata a lui perinde ac cadaver, come i gesuiti col papa, Draghi ha dimostrato di poter essere tutto ciò che adesso serve all'Italia. Ma se traslocasse al Quirinale? E magari, una volta lì, si trovasse a coabitare con un Parlamento spostato a destra e con un governo a trazione sovranista, guidato da un premier che a Bruxelles è visto come il fumo negli occhi? Cosa potrebbe fare Draghi? Nel centrodestra assicurano che, pure da lì, egli emanerebbe i propri influssi benefici sul nostro Paese, continuando a garantire il rispetto degli accordi stretti con la Ue e a vegliare sui nostri titoli di Stato. È un'analisi che potrà anche essere vera, ma a un prezzo che oggi nessuno dichiara.

A QUALE PREZZO
Perché per fare tutto questo non basterebbe la "persuasione morale" che il capo dello Stato normalmente esercita sul Parlamento e le altre istituzioni, spesso con scarso successo (come dimostra la riforma del Csm che Sergio Mattarella, da anni, invoca inutilmente). Ci vorrebbe molto di più. Occorrerebbe slabbrare il dettato costituzionale, allargare - in nome della «Costituzione materiale» - i poteri di cui dispone il presidente della Repubblica. Operazione che è già stata fatta, ma mai in tale misura. Servirebbe un controllore dei provvedimenti di spesa ancora più intransigente di quanto fu Carlo Azeglio Ciampi nel suo settennato. Un presidente disposto a far pesare il potere di nomina dei ministri, più di quanto abbia fatto Sergio Mattarella.

 

 

E, all'occorrenza, un gestore di correnti e partiti spregiudicato come seppe essere Giorgio Napolitano. Tutto questo, e probabilmente altro. Un presidente della Repubblica à la Emmanuel Macron, insomma, ma senza l'investitura popolare che il francese ha avuto. Il percorso ideale, ovviamente, sarebbe una riforma costituzionale come quella proposta dall'ex presidente del Senato Marcello Pera, ma nessuno pare avere intenzione di farla. Non nei tempi brevi che sarebbero necessari, in ogni caso. Così il principio di realtà si prepara ad avere la meglio sul diritto: se all'Italia, per sopravvivere nei prossimi anni, servirà Draghi al Quirinale nelle vesti di uomo forte, lo avrà, così come ha avuto i dpcm di Conte: perché non ci sono alternative e nessuno si opporrà sul serio. L'intendenza (la riforma costituzionale) forse seguirà.

 

 

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