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Vittorio Feltri, Ilva e la sentenza-vendetta: il vero disastro non è ambientale, ma economico

Vittorio Feltri

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La vicenda delle acciaierie di Taranto prende una piega amara, se non tragica. L'ex proprietario dell'Ilva, Fabio Riva, figlio di Emilio, morto a 88 anni agli arresti domiciliari, è stato condannato dal tribunale della città pugliese a 22 anni di carcere, e suo fratello Nicola a 20. Pene assolutamente esagerate per un reato non dimostrato. L'accusa rivolta agli industriali è infinita, inquinamento mortale, anzitutto, più una serie di aggravanti che non vale la pena di riassumere. 

 

Quando si vogliono castigare degli imprenditori nel nostro Paese, che odia il capitalismo in quanto suscita invidia sociale, la giustizia non si risparmia: va giù con la mazza. Secondo la Procura e i giudici, la famiglia Riva, il cui opificio era tra i più importanti d'Europa, avrebbe commesso una strage mediante le schifezze emesse dallo stabilimento. Si è parlato di decine di morti, tra cui bambini che abitavano nei dintorni della fabbrica. Da notare che il tribunale di Milano, che ha processato Riva per bancarotta, si è espresso con una assoluzione, precisando che gli imputati avevano speso una barca di soldi per limitare i danni prodotti dagli scarichi industriali. 

Una sentenza che contraddice quella emessa ieri nei confronti degli stessi personaggi. Risultato, non si capisce come stiano effettivamente le cose. Fabio era fuori legge oppure un samaritano che si preoccupava del benessere dei suoi operai? Noi non siamo in grado, per ovvi motivi, di accertare quale sia la verità. Tuttavia, essendoci a suo tempo interessati della causa, abbiamo verificato che i decessi per cancro a Taranto furono inferiori a quelli avvenuti, all'epoca, a Lecce dove non esiste una sola acciaieria. 

Questo dato verificato dovrebbe far intuire a chiunque che lo stabilimento della famiglia Riva non può essere considerato una sorta di assassino seriale. Tanto è vero che ancora oggi produce acciaio, sia pure in quantità inferiore al passato. Come si spiega tutto ciò? Non sappiamo. Ma siamo consapevoli di un fatto: se una volta l'impianto in questione uccideva con i suoi fumi alcuni lavoratori, oggi c'è il rischio che tutti tirino le cuoia per mancanza di un impiego sicuro. 

 

Decederanno d'inedia da disoccupati. Giusto combattere l'inquinamento atmosferico, però bisognerebbe tenere a mente che quasi tutte le attività non sono asettiche, pure gli impianti di riscaldamento obsoleti emettono veleni. Sostengono in proposito che Milano sia la città d'Italia più densa di sostanze perniciose, però è anche il luogo dove l'aspettativa di vita è più lunga. Forse che l'aria putrida faccia bene alla salute? Le toghe tarantine oltretutto hanno inflitto tre anni e mezzo di detenzione anche all'ex governatore pugliese, Nichi Vendola. Ma che c'entra costui con l'Ilva? Mistero. Speriamo che in appello cambi il metro di giudizio.

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