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Guglielmo Epifani, il primo segretario Cgil non-comunista: vedeva rosso solo quando c'era Silvio Berlusconi

Guglielmo Epifani

Renato Farina
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Di Guglielmo Epifani oggi colpisce l'aura gentile e in fondo regale che la sua morte ha steso come un mantello doloroso su tutta la Camera dei deputati, avvolgendo i pensieri dei politici di ogni appartenenza, il mondo sindacale più capace di risentimento di quel che si creda ma che ora si inchina e, con strana sincerità, anche quello giornalistico, che pure, a destra ma specialmente a sinistra, lo ha sempre trattato con sufficienza. Uno che tanto non te la fa pagare, non porta rancore, e allora diamogliele. Epifani aveva 71 anni, lo ha portato via molto in fretta una embolia polmonare. E' stata una figura importante di questo millennio italiano, ricoprendo ruoli di vertice nella sinistra. Prima segretario generale della Cgil, succedendo a Sergio Cofferati, dal 2002 al 2010. Quindi, appena diventato deputato, nel 2013 fu segretario transeunte del Partito democratico. Lo fu per 8 mesi, prendendo il posto a maggio di Pierluigi Bersani e lasciandolo a Matteo Renzi il 15 dicembre. Se ne andò con Bersani in Leu nel 2017, fu rieletto in quelle file, mai sgomitando per ruoli di potere. Aveva dato, aveva avuto, nessuna ira, punto di grande equilibrio umano anche nei conflitti più aspri nelle guerre intestine della sinistra e negli scontri con la destra. Si era laureato in filosofia. A Milano nei primi anni di liceo aveva frequentato Comunione e Liberazione (che allora si chiamava Gs), poi a Roma frequentava - lui borghese - le borgate, imparando a stare nel disagio sociale con i piedi e le mani e non con la sola testa come gli intellettuali.

 

 

CANDIDATURE
Eppure la sua carriera è stata di questo tipo, casa editrice della Cgil, componente socialista, estremamente minoritaria, nell'ufficio studi con Giuliano Amato, seguì i poligrafici in momenti di trasformazione e perdita di posti nelle tipografie. Era turatiano, studioso di Anna Kulishof, alla caduta di Craxi e del Psi come altri passo ai Ds, gli offrirono candidature parlamentari e di sindaco di Napoli, rimase al sindacato. Dopo Cofferati detto il Cinese, trascinatore di folle pacifiste durante la guerra del Golfo e avversario truce dei socialisti che collaboravano con la Cisl e aderivano a Forza Italia e dintorni, tocco al suo vice Epifani prenderne il posto. Per dimostrare di essersi emancipato da quel gruppo di studiosi e compagni fraterni accentuò il connotato antigovernativo e antiberlusconiano, organizzò manifestazioni tonanti a Roma contro l'abrogazione dell'art. 18. Fu soprattutto Maurizio Sacconi a polemizzare con lui, considerandolo fuori della storia, Gli dedicò una battuta fulminante: «È come quel signore che guida contromano in autostrada e, ascoltando la radio che dà notizia del demente, commenta: "Non c'è un pazzo, sono centinaia"».

 

 

Come dargli torto? Mentre i comunisti di tutto il mondo si facevano socialdemocratici, Epifani andava in soccorso degli ultimi giapponesi facendosi comunista. Aveva scelto, ma una parte di lui restava attaccata alle origini. Quando si trovò al comando, forse senza ambirvi, recitò onestamente la parte in commedia che il copione prevedeva. È la complicazione delle cose umane. Parlando con lui - a me è capitato in una fase in cui dette il suo peggio - si avvertiva con chiarezza che l'uomo non coincide mai con la sua ideologia, c'è qualcosa che sfugge e trabocca da tutte le parti. Erano le 19,43 del 1° agosto 2013. Ci fu perfetta sincronia tra la lettura in Cassazione della condanna abusiva contro Silvio Berlusconi e l'apparizione in diretta televisiva di Guglielmo Epifani. Comparve paonazzo in tivù, affiancato da due giannizzeri dell'apparato e disse: «Per quanto riguarda il Pd questa condanna va non solo, come è naturale, rispettata ma va anche applicata e resa applicabile e a questo spirito si uniformerà il comportamento del Gruppo parlamentare».

VIOLENZA
Solennizzava la violenza decisa dal suo partito di estromettere il Cavaliere dal Senato. dando corso istantaneo alle procedure previste dalla legge Severino. Renato Brunetta era in quel momento capogruppo del Pdl alla Camera, era stato antico sodale socialista di Epifani, e aveva colto qualcosa di innaturale, una sorta di esagerazione di Guglielmo per dimostrasi degno del ruolo, quasi fosse caricato a molla. Incontrammo il segretario del Pd nel corridoio (al tempo lavoravo con Brunetta) e Epifani ascoltò le proteste, ribadì il concetto espresso, ma c'era una lotta sul suo volto. Colpisce che i ricordi più commossi arrivino da quelli che hanno condiviso valori, libri e passione, poi si sono divisi spaccando sodalizi che parevano roba da tre moschettieri, uno per tutti e tutti per uno, Perché gli uomini sono così? Partono insieme, un solo cuore, un solo ideale. Poi si separano. Se ne dicono di tutti i colori. Ma qualcosa di invisibile e fortissimo però non si spezza. E nel momento della morte dell'amico -avversario emerge potente, e si trovano le parole banali ma vere che circondano l'essenza senza riuscire a possederla appieno: la gentilezza, il tratto umano, l'equilibrio. E' stata una buona vita quella di Guglielmo Epifani.

 

 

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