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Mario Draghi e Marta Cartabia, il legittimo sospetto nelle sacre stanze: con chi stanno e chi c'è dietro di loro?

Marta Cartabia

Fausto Carioti
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Prevedibile come il canto del muezzin all'ora della preghiera, è arrivato l'appello delle "toghe rosse" ad affossare i sei referendum sulla giustizia proposti dai Radicali e dalla Lega. Destinatari dell'invito, il guardasigilli Marta Cartabia e la Corte Costituzionale presieduta da Giancarlo Coraggio. Il governo, infatti, può bloccare la macchina referendaria varando una riforma delle materie oggetto della consultazione, mentre la Corte può fare la propria parte dichiarando non ammissibili quei quesiti. Ed è proprio questa la richiesta avanzata da Magistratura Democratica, l'associazione dei magistrati progressisti, tramite la propria rivista, Questione Giustizia, in un lungo e accorato editoriale firmato dal direttore Nello Rossi. Un messaggio da addetti ai lavori per addetti ai lavori, nel quale però troviamo già gli slogan che sentire mo quando la raccolta estiva delle firme entrerà nel vivo. I quesiti referendari hanno aspetti «sconcertanti» e dimostrano «improvvisazione e sovrana indifferenza alla tenuta (ed all'immagine) delle architetture» istituzionali e giuridiche.

 

 

La loro natura è «ingannevole». Sotto il profilo politico è «sorprendente e discutibile» che la Lega «promuova o si accodi a referendum abrogativi su temi di giustizia nel momento in cui è in atto una complessa iniziativa legislativa della compagine governativa di cui fa parte». E così via. Toni che provano, casomai ci fosse il dubbio, che per l'ala sinistra della magistratura quella contro i referendum è oggi la madre di tutte le battaglie. La polemica nei confronti di Matteo Salvini e dei suoi alleati pannelliani è però la parte grossolana del messaggio. Molto più interessante l'altra, raffinata e mirata, con cui i compagni magistrati si rivolgono al governo e ai colleghi della Consulta, indicando loro le cose da fare. Alla Cartabia (e a Mario Draghi), Md fa sapere di nutrire «la speranza che un esecutivo caratterizzato da una forte leadership e dalla presenza di una ministra della Giustizia di vasta e solida cultura istituzionale sappia guidare con mano ferma il percorso riformatore della giustizia», poiché «c'è bisogno di buone leggi e non di referendum improvvisati».

 

 

Ai giudici costituzionali suggerisce che «l'inammissibilità» del quesito con cui si vuole abrogare la legge Severino «sembra per più ragioni l'opzione obbligata». Pure il referendum che chiede la separazione delle carriere di giudici e pm è «destinato, con ogni probabilità, a cadere sotto la scure della inammissibilità». E lo stesso si può dire degli altri, giacché tutti hanno in comune «il carattere meramente propagandistico, la strumentalità, la inidoneità a risolvere problemi reali. In una parola la natura ingannevole». Chiarissimo il concetto: quei sei referendum non s'hanno da fare. La prima che dovrà dare una risposta è la Cartabia, da cui Md aspetta una riforma che tolga al popolo l'opportunità di decidere su quei temi, senza però sconvolgere un impianto che ai magistrati della corrente rossa, è chiaro, va bene così com'è. Compito per nulla facile. Sappia dunque, la guardasigilli, che da oggi è osservata speciale.

 

 

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