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Sergio Mattarella e Mario Draghi, il patto non scritto e il timore di un "accordo inconfessabile" tra leader politici

Fausto Carioti
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Bella l'aria di ripresa che si respirava ieri tra le sedie dell'immenso cortile d'onore del Quirinale, trasformato in platea. Le prime file occupate da ministri ex avversari, oggi uniti e sorridenti nel nome di Mario Draghi e del draghismo, fiduciosi come chi si sente col vento in poppa («Tutto dipende dall'economia», dice Renato Brunetta, lo sguardo che brilla. «Fare il 5% nel 2021 significherebbe chiudere l'anno con una crescita dell'8%, e allora...»). Una sensazione che s' inizia a sentire in tutto il Paese, finalmente. Però la partita che riguarda la tenuta del debito e la capacità dell'Italia di tornare a produrre ricchezza e lavoro sarà lunga e dura.

Per questo c'è un accordo non scritto tra Sergio Mattarella e Draghi. Un patto per la "nuova ricostruzione", che per essere tale avrà bisogno di tempo e lavoro serio e si fermerebbe in caso d'incidente: un governo che adotta politiche sbagliate, Bruxelles che interrompe il flusso degli assegni. Da questa consapevolezza dipendono le scelte che il capo dello Stato e quello dell'esecutivo adotteranno da qui a febbraio. È la parte "non detta" del discorso che un emozionato Mattarella ha tenuto al termine della celebrazione dei 75 anni della repubblica. Discorso dedicato, appunto, al parallelismo tra la Ricostruzione del dopoguerra e quella che occorre fare adesso: «Anche oggi siamo a un tornante del nostro cammino dopo le due grandi crisi globali, quella economico-finanziaria e quella provocata dalla pandemia. Come lo fu allora, questo è tempo di costruire il futuro...».

 

 

 

 

L'ultimo 2 giugno di questo settennato, ma forse non l'ultimo che lo vedrà protagonista. Nella sfida politica più importante, quella per il prossimo presidente della repubblica, la palla la giocano ovviamente i parlamentari e i delegati delle regioni, ma tutto lascia credere che Mattarella e Draghi non avranno un ruolo di semplici spettatori, se non altro perché sono i candidati più plausibili e accreditati. E così, se verranno chiamati in causa, calibreranno le loro mosse pensando alla scelta che garantirà al Paese le maggiori possibilità di rilanciare l'economia e il lavoro. E ciò che diranno sarà figlio di una visione comune e di preoccupazioni condivise. Identica diagnosi e probabilmente stessa terapia.

Anche se ogni soluzione è possibile, non è un segreto che oggi le strade maestre siano ridotte a due, perché è necessario che uno del calibro di Draghi rimanga l'interlocutore italiano con l'Unione europea (il commissario Paolo Gentiloni, proprio ieri, ha voluto ricordarci che siamo un Paese a rischio, che resterà a lungo osservato speciale da parte di Bruxelles). La prima strada è il passaggio di Draghi al Quirinale all'inizio del 2021, ed è quella che darebbe più sollievo a Mattarella, che quando dice «fra otto mesi potrò riposarmi» esprime una speranza, non una certezza. Da lì, l'ex presidente della Bce garantirebbe dinanzi alla Ue il rispetto delle riforme già contrattate e il controllo del debito pubblico. La seconda strada più probabile, quella che l'attuale presidente della repubblica vorrebbe evitare, prevede che rimanga ancora un paio d'anni sul Colle, così che Draghi resti capo del governo sino al termine della legislatura, in modo da lasciare a chi vincerà le elezioni buona parte del lavoro fatto, e il resto impostato.

 

 

 

Anche l'ipotesi più presente nelle speranze del centrodestra e nei timori dei giallorossi, che vede Draghi eletto capo dello Stato all'inizio del 2022 decretare subito lo scioglimento delle Camere per rendere possibili nuove elezioni, è tutt' altro che scontata. Se in parlamento ci fossero le condizioni, il Draghi presidente della repubblica potrebbe decidere infatti di far arrivare la legislatura alla scadenza naturale, vegliando nel frattempo su un esecutivo guidato da un premier nel quale ha fiducia. E siccome l'unica cosa che conta sono i numeri dell'economia, il compito finirebbe a uno che li sa masticare: magari Daniele Franco, il ministro che oggi segue i conti pubblici.

Un anno in più di governo a guida tecnica, insomma, sempre allo scopo di incanalare l'Italia lungo la retta via. In ogni caso, il modo migliore che Mattarella e Draghi hanno per mettere il parlamento in condizione di prendere la scelta giusta è fare fronte comune. I leader dei partiti hanno iniziato con largo anticipo a tessere trame, non tutte confessabili. L'aria che tira, però, è che stavolta non saranno solo loro a decidere. Molto peseranno l'andamento dell'economia e l'avanzamento delle riforme contrattate con la Ue, e le valutazioni che Mattarella e Draghi faranno, insieme, al momento opportuno.

 

 

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