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Enrico Letta e la folle rincorsa ai manettari, retroscena: così in poche settimane ha già distrutto il Pd

Fausto Carioti
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Nel tentativo di rincorrere giustizialisti, Sardine e Cinque Stelle, Enrico Letta è riuscito a spaccare il Pd, facendo al centrodestra un regalo insperato. Succede in Calabria e potrebbe ripetersi ovunque, perché il problema non è locale, ma nella testa del segretario e nella natura del suo partito. Cos' è il Pd? Una forza maggioritaria, che parla alla testa degli elettori e punta a governare il Paese come sigla trainante del centrosinistra? Oppure una formazione debole, che per avere qualche speranza di vittoria si riduce a inseguire magistrati con la bandana, movimenti di piazza e ciò che resta dei grillini, a costo di sacrificare i suoi stessi uomini? Nicola Irto - 39 anni, record di preferenze alle Regionali nel 2020 - era convinto che il Pd fosse la prima delle due cose, e si era candidato come governatore. Ha scoperto con orrore che è la seconda, ed è scappato via.

 

 

 

 

 

«Rinuncio all'incarico e chiedo a Letta di trovare una soluzione per non continuare a svilire la dignità degli elettori e dei militanti del Pd in Calabria», ha detto all'Espresso. Cosa vuol dire? Che ha capito che lo stavano accoltellando alle spalle, malgrado la sua candidatura fosse stata benedetta prima da Nicola Zingaretti e poi dallo stesso Letta. A brandire la lama il numero due del partito, Giuseppe Provenzano. Il quale corteggia da tempo Luigi de Magistris, che lasciata la poltrona di sindaco di Napoli prova a diventare governatore della Calabria, dove come sostituto procuratore aveva condotto le inchieste che gli avevano dato la notorietà. Un accordo indicibile, quello raggiunto tra i due, così come lo raccontano alcuni esponenti democratici e come appare dalle parole dello stesso Irto. Il braccio destro di Letta avrebbe assicurato a de Magistris l'appoggio del Pd in Calabria: se non ufficiale, quantomeno ufficioso, abbandonando Irto a se stesso. In cambio, de Magistris non si sarebbe speso per la propria pupilla Alessandra Clemente, che a Napoli corre per fare il sindaco ed è avversaria del rettore Gaetano Manfredi, portabandiera dell'alleanza vesuviana tra Pd, M5S e Leu. Un patto di mutua assistenza, che per Provenzano e Letta avrebbe un valore ulteriore: avvicinare il Pd ai Cinque Stelle e agli altri movimenti che vedono in de Magistris uno degli ultimi alfieri del giustizialismo. Il tutto sulla pelle del povero Irto, che probabilmente sconta pure la colpa di essere stimato da Base riformista, la corrente di minoranza del Pd.

 

 

 

 

 

Scoperto il giochino, lo sventurato lo ha fatto saltare. Quello che non dice lui lo dicono altri, come l'eurodeputata piddina Pina Picierno, che accusa Provenzano «di voler rincorrere le Sardine e de Magistris. Una scelta politica fallimentare». Spara sulla Croce Rossa pure il senatore Andrea Marcucci: «Il Pd deve sostenere Irto con forza e abbandonare del tutto altre soluzioni». La tregua interna che gli oppositori avevano promesso al nuovo segretario è agli sgoccioli. E la colpa è innanzitutto dell'ambiguità di Letta, della sua pretesa di fare del Pd un partito di piazza e di governo. Colto di sorpresa, il segretario ha provato a esprimere fiducia al giovane candidato e si è impegnato a «trovare una soluzione entro la settimana». È chiaro, però, che lui e Provenzano non potranno più tenere i piedi in due scarpe e che a uno, tra De Magistris e Irto, dovranno rinunciare. Con tutto ciò che ne conseguirà. Va da sé che Provenzano giura di non aver stretto accordi con de Magistris. Anche le Sardine assicurano di non aver avuto alcun ruolo nella vicenda, però dettano le condizioni per appoggiare il Partito democratico in Calabria e altrove: «Alleanze larghe ed ampie a partire dalle forze che hanno sostenuto il governo Conte 2». Come ai bei tempi in cui Conte e Di Maio comandavano e Zingaretti eseguiva, insomma. Se il Pd avesse un capo, saprebbe cosa rispondere.

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