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Sinistra, alla vigilia delle elezioni ecco il solito vizietto: straparlare di fascismo, ora in versione sovranista

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Francesco Carella
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Fra le tante "originalità" che accompagnano la vita politica italiana ve n'è una che sembra discendere dalla legge di Pavlov. Infatti, ogniqualvolta alla vigilia di un appuntamento elettorale gli umori della pubblica opinione lasciano intendere che ci si trovi alla vigilia di un'affermazione del centrodestra, dall'area politico-culturale della sinistra parte l'allarme sulle sorti della nostra democrazia e s' invita il Paese alla massima vigilanza in vista dello sbarco dei nuovi fascisti, ora in versione anche sovranista. In questi ultimi giorni, si è giunti addirittura ad intravedere nella toponomastica dei municipi guidati dal centrodestra una via subdola attraverso cui rilanciare lo spirito del Ventennio. Si tratta di un'anomalia che viene da lontano e che affonda le radici nei primi anni del Dopoguerra, quando il Partito comunista alla ricerca di una legittimazione democratica difficilmente ottenibile sul terreno della democrazia liberale - a causa del legame di ferro con l'Unione Sovietica- individua nell'interpretazione del fascismo quale reazione capitalistica alle richieste del movimento operaio la chiavedi volta per accreditarsi, nella neonata Repubblica, come baluardo della democrazia e dell'antifascismo.

 

 

Palmiro Togliatti ripete più volte in quegli anni che «in una società a carattere capitalistico la tentazione di una svolta reazionaria è sempre dietro l'angolo. Pertanto, sarebbe un grave errore considerare il fascismo una pagina definitivamente chiusa. Esso rappresenta, invece, una minaccia continua per la nostra vita nazionale». In ragione di ciò, lo stesso Togliatti in sede di Assemblea costituente, quando nel maggio 1947 De Gasperi annuncia l'autosufficienza della coalizione centrista - scaricando le sinistre - interviene sostenendo che «è democratica solo quella maggioranza che corrisponde al blocco di forze di cui fanno parte le sinistre. Soltanto una coalizione siffatta può essere considerata legittima».

 

 

Gli eredi del Migliore continueranno imperterriti a fare politica secondo tali canoni. Per il Pci di Berlinguer, Bettino Craxi era «un bandito politico di alto livello, senza alcuna credibilità democratica». I toni non cambiano quando sulla scena politica irrompe Silvio Berlusconi considerato fin da subito «un fenomeno dai tratti criminali pronto a condurre il Paese verso un regime autoritario». Umberto Eco scrisse che il «fascismo eterno» sarebbe stato il destino dell'Italia. Intanto, nelle stesse settimane, Renzo De Felice si poneva, su Panorama, una domanda semplice e chiara: «Si può credere che l'Italia sia una democrazia a rischio?». Lo storico si dava una risposta netta. «Non solo non ci credo, ma lo nego. Chi strilla al lupo al lupo per la democrazia lo fa strumentalmente per accusare l'avversario politico di essere antidemocratico e quindi non legittimato a governare». Purtroppo, sembra che nulla sia cambiato in questi anni. Le "armate intellettuali" della sinistra si stanno già esercitando, per lanciare nuovi anatemi. Ora tocca a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni.

 

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