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Pietro Senaldi, Enrico Letta e la trasformazione in stalker di Mario Draghi: dallo Ius soli al Ddl Zan

Pietro Senaldi
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Ineffabile Enrico Letta. Dicono che la sua segreteria, dopo poco più di sei mesi, sia già traballante. Sarebbe strano, perchél’ex premier ha stampata nel dna la caratteristica principale dei progressisti: la faccia di tolla di chi riesce a spacciare gli affari propri come interesse comune e a difenderli come tale. Emblematica la vicenda di Mps, la banca senese distrutta dal Pd e pagata due o tre volte dagli italiani. Unicredit è pronta a salvarla, ma al prezzo di dolorosi tagli del personale. Il punto è che il segretario è sotto elezioni: si è candidato nel capoluogo toscano e la ristrutturazione bancaria può complicargli una battaglia che si annuncia vinta.

Ecco allora che l'acquisto con ogni probabilità slitterà a dopo il voto, e per le spese che il ritardo comporterà, c'è sempre Pantalone. Anche sulla nomina del prossimo presidente della Repubblica Letta fa il furbo. Ci sono due candidati forti, Berlusconi e Draghi. Il primo il Pd non lo voterà mai, e si può capire. Quanto al secondo, che se eletto garantirebbe sette anni di commissariamento del Parlamento da parte del Quirinale e di conseguenti ottimi rapporti con l'Unione Europea, il segretario dem non lo vuole, e pertanto lo dichiara insostituibile a Palazzo Chigi, fino a far balenare che neppure l'interessato vorrebbe. Cosa improbabile, tant' è che Salvini lo ha rimproverato, chiarendogli che non è cosa mettere le parole in bocca al premier.

 

 

 

Il segreto di Pulcinella è che a Letta non va bene nessuno perché vuole imporre un dem al Quirinale, anche se il suo partito ha una rappresentanza parlamentare intorno al 13%. L'ambizione si può capire, la pretesa no ed è figlia di quell'insopportabile complesso di superiorità della sinistra, che il segretario interpreta alla perfezione, per cui secondo i dem gli uomini degni e capaci stanno solo dalla loro parte. Si dirà: anche la Lega fa la sua partita e contribuisce a dare dei grandi scossoni alla maggioranza più variamente composita di sempre. Per esempio, vorrebbe mandare a casa la ministra Lamorgese, oppure si batte contro le chiusure e ha posizioni talvolta ambigue su Green pass e vaccino. Vero, ma le polemiche di Salvini non sono strumentali, attengono a temi di primaria importanza nell'azione del governo, decisioni fondamentali.

 

 

 

Letta no, è uno stalker di maggioranza, si esercita nel portare avanti battaglie marginali e polemiche strumentali. Vuol mandare a casa il sottosegretario leghista Durigon per il parco Arnaldo Mussolini e si tiene la Lamorgese malgrado rave-party, mancati controlli anti-Covid e ingressi fuori controllo di clandestini. Siccome ha perso i voti dei ceti meno abbienti, cavalca la patrimoniale, fingendo di ignorare che uno dei pilastri del piano di rilancio di Draghi è il taglio delle imposte. Ha monopolizzato per mesi il dibattito sulla legge Zan, sapendo di non avere i numeri, e continua a parlare di ius soli, pur consapevole che un governo tecnico di emergenza non è deputato a prendere decisioni politiche e ideologiche potenzialmente in grado di cambiare la struttura della società.

L'avvocato Agnelli sosteneva che gli interessi della Fiat coincidessero con quelli dell'Italia: se andava bene la prima, la seconda veniva dietro. Per questo abbiamo riempito la sua azienda di soldi, molti dei quali si ignora dove siano finiti. Poi la Fiat ha cambiato nome ed è andata in Olanda senza ringraziare, anzi dicendo che le facevamo pagare troppe tasse. Il Pd ci spaccia la stessa balla, grazie alla quale governa anche quando perde le elezioni. Solo che, ahimé, non emigra mai, malgrado sia favorevole agli spostamenti di massa e, ogni volta che vince la destra, qualcuno dei suoi eroi dichiara che lascerà il Paese. Lo ha fatto De Benedetti, andando in Svizzera, ma non per motivi ideali.

 

 

 

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