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Mino Martinazzoli, il ricordo di Vittorio Feltri: "Odiava i politici, ecco perché lo ammiro"

Vittorio Feltri
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In questi giorni quotidiani e tivù hanno ricordato Mino Martinazzoli, morto a 80 anni nella sua Brescia, dopo una vita piena come avvocato di grido e politico illustre. Di lui sono state scritte molte pagine intense, tutte meritate. Egli è stato un esponente democristiano di primo livello, fu ministro di Grazia e Giustizia. I suoi discorsi erano mirabili, incantavano esattamente come le arringhe che pronunciava in tribunale. Ma ci sono aspetti della sua personalità che i biografi improvvisati hanno taciuto. Provo io a colmare la lacuna.

 

 

 

Il quesito

All'inizio degli anni Novanta, quando imperversava l'inchiesta giudiziaria denominata Mani Pulite, lo Scudo Crociato cominciò a vacillare, perdeva consensi, mentre gli ex comunisti si rafforzavano sotto la guida di Achille Occhetto, ultimo segretario della Falce e martello. A quel punto Silvio Berlusconi ebbe l'idea di fondare un partito nuovo in grado di raccogliere i voti scaricati dal gruppo democristiano in crisi. Ma non sapeva a chi affidarne il timone. Interpellò anche me per avere un parere. Il Cavaliere mi domandò: lei sceglierebbe come capo Mariotto Segni oppure Mino Martinazzoli? La mia risposta fu secca: nessuno dei due. Perché, mi chiese il padrone delle emittenti private? Argomentai così la mia idea: Segni è bravo ma fragile, ha vinto il referendum sulle preferenze, un merito non trascurabile, però poi è sparito, mi rammenta quei tipi che trionfano alla lotteria di Capodanno, e poi smarriscono il biglietto fortunato. Lo lascerei alle sue elucubrazioni di ideologo stanco. E veniamo a Martinazzoli. Il quale è un genio, un principe del foro, un oratore mirabile, tuttavia non è popolare. Ama se stesso, giustamente, ma la politica non è il suo forte. Fisicamente sembra un cipresso che si trova a suo agio nel cimitero, il suo nome è Mino che è l'abbreviativo di Lumino, altro oggetto cimiteriale, esattamente come il fiore dei morti, cioè Crisantemino. Ovviamente scherzavo, ma Berlusconi pur ridendo mi prese sul serio, e mi interrogò di nuovo: Feltri, chi ci metterebbe lei a guidare il partito che ho in mente di organizzare? Non esitai. Quando dirigevo l'Europeo, settimanale storico, ordinai un sondaggio con questo quesito: qual è il personaggio più noto d'Italia? L'esito fu: il Cavaliere di Milano due. Pertanto, caro Silvio, faccia lei il leader e non se ne pentirà. Mi ascoltò e si mise alla testa di Forza Italia che poi, nel 1994, vinse inaspettatamente le elezioni. Nel frattempo scrissi sull'Indipendente, quotidiano scapigliato che all'epoca dirigevo con sommo divertimento, una serie di articoli comici nei quali sfottevo bonariamente Martinazzoli, che stava seppellendo la Dc, definendolo appunto Cipresso, Lumino e Crisantemino. Evidentemente i miei scherzi giornalistici non gli facevano piacere, cosicché un bel dì mi telefonò dicendomi che ne aveva piene le palle di leggerli.

 

 

 

Risposte evasive 

Mi offrì la possibilità di fargli una intervista a Roma. Accettai, e un pomeriggio mi presentai nella sede democristiana (lui era segretario degli eredi di don Sturzo) armato di penna e taccuino. Lo interrogai a lungo ma le sue risposte erano evasive, retoriche; insistetti senza cavare un ragno dal buco. Alla fine, esausto, me ne andai. Il giorno appresso scrissi su Mino una mezza paginata a mio modo di vedere abbastanza brillante. Verso le 12 ricevetti una sua telefonata garbata, secondo il suo stile elegante e signorile. Ridendo mi disse: articolo interessante, peccato che lei non abbia intervistato me, bensì se stesso. Aveva ragione. Adesso che non c'è più, ammiro Martinazzoli perché la politica gli faceva schifo, tutta, tranne la sua. 

 

 

 

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