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Referendum sulla cannabis? Ecco perché la droga inguaia tutti, ma il Pd più degli altri

Fausto Carioti
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Che fare ora che quel mezzo milione di firme è stato superato? Il problema riguarda tutti i partiti della maggioranza. Schiacciati dall'alto da Mario Draghi, il quale tira dritto ignorando le loro richieste (vale per lo ius soli del Pd come per la flat tax della Lega), adesso devono affrontare pure la spinta dal basso del referendum per la «cannabis legale», che nessuno dei loro leader aveva previsto e tantomeno voluto. L'ultima cosa di cui avrebbe bisogno una classe politica già costretta a rinunciare alla guida del governo per manifesta inadeguatezza. Sono problemi diversi, però, quelli del centrodestra e del Partito democratico.

Il primo, a parte pochi esponenti di Forza Italia come l'ex radicale Elio Vito, è contrario in blocco alla richiesta dei referendari. Per la Lega, i Fratelli d'Italia e azzurri come Maurizio Gasparri, la lotta ad ogni tipo di droga è un tema identitario. Il loro busillis riguarda la strategia: quale garantisce le maggiori possibilità di vittoria? Il pensiero va subito ai quesiti "etici" del 2005, con cui i proponenti chiedevano di cambiare le norme sulla procreazione assistita, abrogando molti dei vincoli esistenti. Gli oppositori vinsero seguendo il consiglio del cardinale Camillo Ruini, all'epoca presidente della Cei, il quale suggerì di puntare sull'astensione. Siccome la consultazione è valida solo se vi partecipa la maggioranza degli aventi diritto, e una quota di astenuti è fisiologica, chi punta su questa carta parte avvantaggiato. Quindici anni fa solo il 26% degli elettori si presentò ai seggi, e a nulla servì che quasi tutti si esprimessero per il «Sì».

 

 

Stavolta, però, il diavolo ci ha messo la coda. Perché nella stessa domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno, Corte Costituzionale permettendo, si voteranno i referendum sulla «giustizia giusta» voluti da Matteo Salvini d'intesa con i radicali, e sui quali l'intero centrodestra è d'accordo: un altro grande tema identitario. Il dubbio, nei partiti dell'alleanza, è quindi se sia possibile puntare sull'astensione differenziata. Presentandosi al seggio, gli elettori dovrebbero dire a chi lo presiede che intendono ricevere le schede dei referendum per la giustizia e non quella del quesito riguardante la cannabis (e lo stesso potrebbe accadere con la scheda per la «eutanasia legale»). Anche se la infilassero bianca o invalidata nell'urna, infatti, contribuirebbero al raggiungimento del quorum. Il presidente del seggio, a sua volta, dovrebbe far mettere a verbale la richiesta, per ogni elettore. Insomma, un'indicazione complicata da fornire, da comprendere e da tradurre in pratica. Probabile, quindi, che alla fine il centrodestra si mobiliti per chiedere agli italiani di votare No, rinunciando così al vantaggio garantito dagli astenuti.

 

 

Per Enrico Letta e il suo partito, invece, il problema è più grave, perché politico. Schierarsi per il Sì, assieme agli antiproibizionisti, vorrebbe dire andare dietro a Leu e a Beppe Grillo, che si è speso subito in favore del referendum. Significherebbe, soprattutto, regalare al centrodestra tutti gli elettori moderati e cattolici (preti e suore inclusi) contrari alla legalizzazione delle droghe leggere, a un anno dalle elezioni. Motivo per cui nel Pd stanno tutti zitti. Interpellato in pubblico, un imbarazzatissimo Letta ieri ha detto che «il referendum sulla Cannabis è un'iniziativa che guarderemo con attenzione. Sono decisioni che prenderemo nelle prossime settimane». Al Nazareno sperano che un disegno di legge sulle droghe leggere sia approvato dal parlamento in tempo per togliere loro le castagne dal fuoco, ma è difficile che accada. Lasciare la scelta alla libertà di coscienza degli elettori del Pd sarebbe una resa, nonché l'ennesima conferma dell'inutilità dei partiti (almeno di quello democratico), ma potrebbe rivelarsi il male minore.

 

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