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Sinistra e propaganda rossa: la bugia tutta Italiana di un "comunismo buono"

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Iuri Maria Prado
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L'Italia è rimasta per tutto il corso repubblicano sull'orlo dell'enorme piaga comunista che ha deturpato il mondo a est di Vienna. Ma non era la prossimità fisica con i Paesi contaminati dalla peste rossa a far sì che anche qui spirasse il fiato di quell'infezione. 

 

Geograficamente contigue, le società sottomesse al giogo comunista erano segrete allo sguardo degli italiani: un po' per forza propria di quei sistemi, che si reggono sulla capacità criminale di non far conoscere il proprio orrore se non a chi già vi è sottoposto; e un po' per la presenza cospiratoria dei comunisti italiani, prosperi in una alterità cinica che offriva agli aguzzini dei paradisi socialisti l'efficacissimo scudo di disinformazione grazie al quale il più ignominioso e duraturo esperimento di tirannia mai registrato nella storia dell'umanità ha potuto diffondersi, impunito, durante un secolo. La falce e il martello dei comunisti italiani erano la prova che quei due attrezzi- questo ha raccontato la propaganda nostrana - potevano essere adoperati per realizzare le cose buone, le cooperative e la Costituzione antifascista, le regioni ben amministrate e i sindacati democratici. 

 

L'immensa e doppia bugia italiana: perché quelle cose erano possibili qui non grazie alla presenza di quei simboli, ma non ostante; e perché essi sono in ogni caso riusciti a imporre i mali che invece i comunisti rivendicano come acquisizioni benigne, cioè una Carta costituzionale infiltrata di statalismo e un sistema economico anti-concorrenziale, un ordinamento amministrativo che cannibalizza il potere centrale e ne riproduce i difetti e un sindacato forte nella protezione di grandi inefficienze e diffusi privilegi. Se nessun fremito è giunto qui dal crollo dell'Unione Sovietica, è perché l'edificio del comunismo italiano era anche più solido di quello tirato su oltrecortina.

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