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Vittorio Feltri e l'euro al posto della lira: "Non ci siamo mai ripresi, uno choc lungo 20 anni"

Vittorio Feltri  

Vittorio Feltri
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Venti anni sono lunghi da passare, ma non bastano a farci dimenticare lo choc dell'entrata in vigore della moneta unica, alla quale ci siamo dovuti abituare volenti o nolenti. A quel tempo collaboravo con Panorama, quando era un periodico importante. Il direttore mi inviò a Bruxelles per descrivere i festeggiamenti. Invece dell'euro sembrava che si celebrasse l'Immacolata Concezione. I presenti alla manifestazione furono inondati da un fiume di retorica europeista. Si diceva che eravamo in procinto di entrare nel paradiso terrestre. Io ascoltai tutti i pistolotti caramellosi delle cosiddette autorità e ne riferii nel mio scettico reportage. Ora sono avvezzo all'euro e non brontolo più. Ma al suo esordio ero schifato e spiego i motivi. All'epoca avevo un stipendio invidiabile, 30 milioni di lire, e mi sentivo abbastanza ricco. A un certo punto il mio compenso si trasformò in 15 mila euro, ed ebbi la sensazione che avrei avuto le pezze sul sedere. Ero pessimista e non sbagliavo di tanto. Infatti dalla sera alla mattina, i prezzi di ogni merce furono raddoppiati.

 

Alcuni esempi. Il biglietto del metro a Milano raddoppiò di incanto. Ma fin qui, amen. La pizza, che costava 5 mila lire, all'improvviso la pagavi 4 euro, cioè 8 mila delle vecchie lire. Decisi di acquistarmi un paio di scarpe inglesi che avevo visto in vetrina, prezzo 280 mila lire. Adesso costavano 250 euro. Nel giro di pochi giorni, facciamo di ogni mese, le tariffe commerciali salivano del cento per cento. Questa non è una opinione, bensì la realtà. Dirò di più, i poliziotti della mia scorta che fino a poco tempo prima percepivano un salario di un milione e 800 mila euro, incassarono 1000 euro, con i quali a Milano campi sì e no dieci giorni. Mi domando come si facesse a gioire del mutamento monetario. Eppure il concerto della stampa nazionale elogiava l'avvento del nuovo denaro come fosse una promozione economica e sociale. Libero documentò con una serie di servizi suffragati da cifre incontestabili che eravamo di fronte a una solenne fregatura. Naturalmente i colleghi dei giornaloni ci presero per i fondelli sul piano teorico, ma trascurando i dati concreti.

 

Trascorrono anni, la nostra economia frenata dalla globalizzazione imperfetta, annaspa, ma la colpa della frenata viene attribuita a fattori nazionali, non certo al "miracoloso" euro. Transeat. La gente si adatta a tutto, perfino ai nostri governi campioni nell'incrementare sistematicamente il debito pubblico, per cui si è bevuta perfino le banconote continentali. E oggi, a distanza di quattro lustri dalla tragedia, avvezzi al peggio, lo abbiamo digerito e il suo amaro sapore ci va giù liscio come olio. Il popolo si adatta a tutto, anche alle peggiori vessazioni e a un dato momento non protesta più. Questo è un fenomeno vecchio come il mondo e non deve stupire più di tanto, abbiamo una grande risorsa: la rassegnazione a vivere in un Paese in cui il popolo è più serio di chi lo guida attraverso un sistema istituzionale barbaro.

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