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Roberto Castelli a Salvini: "L'errore da non commettere. Altrimenti Meloni lo cannibalizza"

Fabio Rubini
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Roberto Castelli, classe '46, ingegnere, già ministro di Giustizia (2001-2006) e vice ministro alle Infrastrutture e Trasporti (2009-2011), leghista della prima ora, con un cuore che «sanguina verde» quando vede calpestati i diritti del Nord. Per questo da qualche anno «cioè da quando la Lega ha aggiunto al suo nome "per Salvini premier"» si è messo a capo dell'associazione "Autonomia e libertà" che nel giro di poco tempo ha fatto un sacco di proseliti ma che, precisa lui, «assolutamente non è in competizione con la Lega».

Castelli, sarà anche come dice lei, ma le parole d'ordine richiamano più il Bossi della Padania libera piuttosto che il Salvini del Prima gli italiani, non trova?
«È indubbio che la svolta centralista di Matteo abbia eroso i cliché storici del movimento e questo ha creato malessere in quelli che vedono ancora la questione settentrionale come centrale nell'agenda politica della Lega. Non è un caso che tra i nostri soci ci siano molti politici leghisti, dai sindaci fino ai parlamentari. La molla che mi ha fatto decidere per l'associazione però è un'altra...».

 

Quale?
«L'attacco sconsiderato e sciacallesco che molti ministri del Conte bis hanno attuato nei confronti di Attilio Fontana che non solo è un mio caro amico, ma anche un ottimo governatore. Hanno cercato di mettere in piedi un falso storico - quello della Sanità lombarda che non funziona - per commissariarlo e ricentralizzare tutto».

Perché parla di "falso storico"?
«Perché non è vero che lo Stato gestisce meglio delle regioni. Il caso è la Calabria dove la sanità è stata in mano a Roma per anni. E non mi pare che la gente faccia la fila per andarsi a curare lì. In Lombardia invece sì...».

Torniamo ad "Autonomia e libertà". Come è nata?
«L'ho fondata con altri quattro soci - Andrea Previtali, Giovanni Colombo, Francesca Losi e Pietro Isacchi, ndr- e poi ci siamo messi a fare come la vecchia Lega di Bossi, battendo il territorio palmo a palmo. All'inizio eravamo in pochi, poi siamo cresciuti. A Pontida lo scorso fine settimana per firmare il "Patto di lealtà per il Nord" eravamo in più di cento...».

Qual è lo scopo di questa associazione e di questo "Patto"?
«Difendere l'esito dei referendum del 2017. Vogliamo che lo Stato centrale ci dia quello che milioni di cittadini lombardi e veneti hanno chiesto col voto: l'autonomia. E schierarci al fianco di Attilio Fontana».

 

 

Il ministro Gelmini ha detto che presto la legge quadro sull'autonomia dovrebbe arrivare in Parlamento. Ha letto il documento? Che ne pensa?
«Ovviamente l'ho letto e mi permetto di segnalare due "trappoloni", entrambi infilati nell'articolo 3. Il primo riguarda le materie che prevedono i Lea-i Livelli essenziali di assistenza -: la legge dice che non si può chiedere l'autonomia senza i Lep - i Livelli essenziali delle prestazioni -. Solo che questi ultimi li deve fissare il governo da almeno 14 anni, ma non ha ancora trovato il tempo di farlo. E difficilmente lo troverà, così l'autonomia per quelle materie verrà insabbiata dalla palude romana. Insomma è una fregatura. La seconda trappola è nel comma in cui si dice che lo Stato stabilisce l'entità delle risorse per attuare i Lep, ma dice anche che li può cambiare quando vuole a parità di risorse e che se tu non adempi ai tuoi doveri ti può commissariare...».

Cinque anni per non fare passi avanti sull'autonomia differenziata. Per "Roma regione" invece ci si è accordati in un amen...
«Quando ci penso il cuore mi sanguina verde. È un provvedimento che grida vendetta. Anche perché, ovviamente, mentre l'autonomia differenziata va fatta a "parità di risorse", per Roma regione la legge prevede fondi aggiuntivi. Mi auguro che quando quel provvedimento arriverà in Aula i parlamentari del Nord prima di votarlo si facciano un esame di coscienza».

Torniamo alla Lega. Salvini ha sbagliato a nazionalizzarla?
«Guardi in molti si dimenticano che anche con Bossi ci provammo. Si ricorda la Lega Italia Federale? Avevamo capito che per influenzare la politica del governo il consenso che avevamo al Nord non bastava. Però non riuscimmo mai a sfondare al Sud. Salvini indubbiamente ha fatto un salto di qualità, ma la politica rispetto al '93 è molto cambiata. Oggi è fatta soprattutto dai leader, che raccolgono rapidamente consensi e che altrettanto rapidamente li perdono».

Come sta succedendo alla Lega di Salvini. Che consigli si sente di dare a Matteo?
«Salvini non lo sento da tempo. Però è chiaro che se prendi il 6% tanto a Monza quanto a Palermo un campanello d'allarme deve scattare. Vuol dire che il progetto del partito nazionale è fallito».

Che farebbe al suo posto?
«Per me l'unico modo per uscire da questa crisi è creare un partito sul modello di quello bavarese, fortemente radicato in un territorio e da lì manovrare per condizionare la politica del governo centrale. La Lega, tornando a sventolare la questione settentrionale, ha il vantaggio di reinterpretare il ruolo di sindacato del Nord, cioè della locomotiva economica del Paese».

 

 

Salvini dovrebbe uscire dal governo Draghi?
«Io vedo due strade: se Matteo vuol continuare sulla strada del partito nazionale deve uscire subito per non essere cannibalizzato dalla Meloni. Oppure resta nell'esecutivo, ma si fa portavoce della questione settentrionale».

Castelli un'ultima domanda. Che pensa del Pnrr...
«È la nuova Cassa del Mezzogiorno. Mi spiego: la ripartizione dei fondi è clamorosamente sbilanciata verso il meridione. Quei fondi però andranno restituiti e chi lo farà? Chi paga le tasse, cioè il Nord...».

 

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